ROMA – La varietà dei sintomi e degli approcci diagnostici sul cosiddetto ‘long Covid’ ha portato a grande ampiezza delle stime di prevalenza, ma non sempre la qualità degli studi è risultata elevata, per limitata validità esterna, mancanza di gruppi di controllo, e variabilità delle metodologie impiegate. E’ quanto emerge dal rapporto dell’Iss ‘Indicazioni ad interim sui principi di gestione del Long-Covid’ che sintetizza l’inquadramento attuale di questa nuova condizione e fornisce indicazioni generali per la sua presa in carico, in linea con le raccomandazioni fornite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il più ampio degli studi riportati nel dossier, svolto nel Regno Unito dall’Office for National Statistics su un campione di oltre 20.000 persone, ha mostrato una prevalenza di sintomi del 13% oltre le 12 settimane post-infezione, con una prevalenza otto volte superiore a quella di un gruppo di controllo, un rischio maggiore nelle donne rispetto agli uomini (14,7% vs. 12,7%), nonostante queste siano in percentuale meno soggette a sintomi gravi da Sars-Cov2, e prevalenza più alta nel gruppo di età 25-34 (18,2%). In un altro studio svolto nel Regno Unito su oltre 4.000 soggetti (Covid Symptom Study), la prevalenza è risultata più bassa, pari al 13% a 4 settimane, del 4,5% oltre le 8 settimane e del 2,3% oltre le 12 settimane.
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