ROMA – Omicron meno pericolosa. Da ricerche effettuate in varie parti del mondo è scaturito infatti che la nuova variante interessi soprattutto le vie respiratorie superiori anziché i polmoni come invece accaduto finora con la Delta e il primo Coronavirus che ha dato poi origine alla pandemia. Ciò spiegherebbe, secondo i ricercatori una maggior trasmissibilità ma una minor gravità dell’infezione. Così come anche la capacità di non essere intercettata dalle due dosi di vaccino.
I sintomi
La sintomatologia della variante Omicron è stata sottoposta a verifica da un gruppo di ricerca in virologia molecolare dell’Università di Liverpool i cui risultati sono già stati pubblicati il 26 dicembre scorso. I test in laboratorio sono stati effettuato su topi infettati la variante Omicron hanno evidenziato una “sintomatologia blanda con minor perdita di peso, carica virale più bassa e episodi di polmonite meno gravi”. Anche secondo James Stewart, capo del dipartimento di Infection Biology dell’Università di Liverpool, ad esempio “l’infezione da Omicron sia meno grave di Delta e del ceppo originale di Wuhan”. Infatti i roditori pare si siano ripresi “più velocemente e questo combacia con i dati clinici che stanno arrivando” ha spiegato lo scienziato secondo il quale “gli esiti dello studio sono una buona notizia anche se chi è clinicamente vulnerabile rischia ancora conseguenze più gravi, anche con Omicron”
Altri studi
Anche per gli studi effettuati in Belgio presso la Neyts Lab dell’Università di Leuven “la carica virale riscontrata nei polmoni di un gruppo di criceti infettati con la variante Omicron era più bassa di quella causata da altri ceppi di Coronavirus”. Secondo il professor Johan Neyts “il virus potrebbe essere più capace a infettare gli umani rispetto ai criceti, oppure è più probabile che infetti il tratto respiratorio alto, o che provochi malattie meno gravi”. Dalle indagini effettuate dall’Università di Glasgow, invece, la variante Omicron avrebbe cambiato modalità di contagio: “Il nuovo ceppo riuscirebbe ad aggirare i livelli di protezione immunitaria forniti da due dosi di vaccino anti Covid, mentre una terza dose riuscirebbe a ripristinarli parzialmente”. Secondo il ‘Guardian’ “tutti questi studi, sono stati condotti sulla base dei risultati raccolti durante altre due ricerche nel mese di dicembre 2021”. Le ricerche avviate in Sudafrica, da dove la variante Omicron ha preso il via, avevano notato “i test salivari fossero più capaci di scovare Omicron rispetto a tamponi nasali”. Secondo il virologo dell’Università di Warwick Lawrence Young si tratta di una situazione che merita prudenza in quanto “gli studi citati dal Guardian avrebbero sì dimostrato l’utilità dei test salivari, ma non sarebbero abbastanza ampi per poter trarre conclusioni significative, essendo stati condotti solo su pazienti acutamente sintomatici e non ospedalizzati”.
L’Università di Hong Kong, inoltre aveva evidenziato “una minor capacità di infettare i polmoni di Omicron grazie anche ad uno studio condotto dal professor Ravi Gupta presso l’Università di Cambridge dove erano stati analizzati campioni di sangue di soggetti vaccinati e da cui era scaturito da un lato la capacità di Omicron di sfuggire al potenziale neutralizzante dei vaccini, dall’altro la sua minor invasività polmonare”. Interessante anche il risultato evidenziato dall’Università di Londra: Jennifer Rohn ha sottolineato come “il prelievo di campioni di materiale dalla gola piuttosto che dal naso abbia fornito risultati differenti: i test rapidi erano negativi al Covid nel naso, positivi in gola”.