CASERTA (Francesco Foco) – Dopo due anni di pandemia e con il Pnrr ad un passo sembrava finalmente che il sole stesse per risorgere. Ma una violenta quanta repentina crisi energetica ha congelato tutto, colpendo duramente famiglie ed imprese. Il rischio che lo scotto lo paghino i lavoratori è altissimo. Raffaele Carlino, patron di Carpisa, avverte il governo: “Bisogna evitarlo ad ogni costo”. E rilancia: “Serve una strategia che permetta alle imprese di essere competitive. I costi sono triplicati”.
La crisi energetica morde e tocca tutti gli aspetti della vita economica e sociale del paese. Il sistema industriale italiano è a rischio paralisi? O abbiamo già superato il punto di non ritorno?
“La crisi energetica porta all’aumento di tutto. Dalle materie prime ai trasporti, dai noli alla logistica. Mio padre ricorda che un fenomeno del genere è accaduto nel dopoguerra. Vorrei, però, porre i riflettori su un secondo aspetto: la persona mediamente agiata se la cava, ma un lavoratore che arriva massimo a 1300 euro al mese, come fa? La crisi energetica, che arriva nel pieno della ripresa dopo i due anni orribili di pandemia, rischia di compromettere innanzitutto il lavoro e i lavoratori. E non possiamo permettercelo come sistema paese”.
Il gruppo Carpisa ha avuto contraccolpi gravi?
“E’ un cane che si morde la coda. Abbiamo negozi in tutta Italia, ma gli italiani in questo momento riescono a spendere? Sia chiaro, io sono fiducioso. Ma dopo la guerra c’è stato il boom dei consumi, una crisi di questa portata non si risolve senza un ritorno forte ai consumi”.
Le aziende licenzieranno o ricorreranno ancora alla Cassa Integrazione?
“Il rischio c’è, inutile negarlo. Io, nonostante i numeri non mi diano ragione, sono fiducioso. Devo essere positivo nonostante l’abbigliamento sia stato uno tra i settori più colpiti. Siamo usciti dalla Cig a dicembre, siamo tornati a lavorare tutti i giorni. Facciamo grande fatica con i costi ma abbiamo anche fiducia nell’opportunità storica del Pnrr. Guardi, a me non spaventa nemmeno adeguare gli stipendi dei nostri dipendenti. Ma ci devono essere degli sgravi importanti se non addirittura risorse fornite a fondo perduto alle imprese. Ci deve essere un giusto equilibrio tra aumento dei salari e sgravi per ovviare all’inflazione, al post pandemia e alla crisi energetica”.
Ha qualche proposta in merito?
“Sì. Sgravi strategici, finalizzati ad un obiettivo: rilanciare il made in Italy, e lo dico avendo una azienda che non fa made in Italy. Si possono dare sgravi a chi per 5 e 10 anni fa made in Italy, dando lavoro qui e creando indotto. Al Mezzogiorno sarebbe ancora più importante, in Campania poi abbiamo un know how che non viene valorizzato abbastanza dai governi”.
Il governo Draghi ha annunciato una misura di 6-7 miliardi per far fronte al caro bollette. Secondo lei è adeguato?
“Sicuramente c’è la volontà ad affrontare il problema. Dopodiché, la sfida è il Pnrr. Serve un’Italia ecosostenibile, nuova, una politica energetica vera. Altrimenti non saremo competitivi con i partner internazionali, già oggi fatichiamo nonostante l’Italia si regga sull’export. Siamo in buone mani con Draghi, ma il sistema politico deve capire che dobbiamo uscire dal ricatto del metano e del petrolio. Meno siamo ricattabili e meglio è. Insomma, al governo chiediamo una cosa semplice: ci permetta di essere competitivi. Abbiamo perso tantissimo dal 2020 ad oggi, non siamo stati risarciti. Tranne la Cig, che è servita a non fare fallire noi e milioni di famiglie italiane, è arrivato ben poco. Sgravi e strategia, questo serve”.
Quindi lei sostiene la necessità di più lavoro, migliore, e aiuti alle imprese vincolati a questi obiettivi per ridurre le diseguaglianze nate tra Covid e crisi energetica?
“Sì. Le diseguaglianze fanno male a tutti, anche a chi sta in posizioni privilegiate. Questa pandemia tra l’altro ha creato enormi diseguaglianze anche tra le imprese. Ci sono interi settori che hanno avuto boom enormi, si sono arricchiti a dismisura. Chi aveva il prodotto giusto ha avuto dei grande guadagni. Il settore dell’abbigliamento, come quello della ristorazione, ha avuto una batosta. Il marchio Carpisa, con lo stop ai viaggi, ha rischiato di fallire. Queste diseguaglianze sociali e tra imprese hanno anche mandato in tilt gli indicatori di un tempo: quando saliva il Pil si andava verso la ripresa, oggi non è per forza così. Dal governo ci aspettiamo di essere messi nelle condizioni di fare impresa e competere. Serve una Italia nuova, giovane. Soprattutto al Sud”.
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