PIGNATARO MAGGIORE – Era il referente del clan dei Casalesi nell’Agro caleno: vantandosi dei suoi legami con i boss dell’Agro aversano e della sua discendenza mafiosa, pretendeva denaro da imprenditori e commercianti. Parliamo di Pietro Ligato e se lo facciamo al passato è perché da alcune settimane sta collaborando con la giustizia. Ha deciso di provare a recidere i legami con il mondo mafioso in cui è cresciuto. È un iter complicato, dall’esito incerto (come insegna il pentimento fallito di Francesco Schiavone Sandokan): ma il fatto che un esponente di spicco dell’organizzazione inizi a interloquire con i magistrati rappresenta comunque un passo importante per la lotta alla mafia, perché dimostra l’ormai fragilità della struttura criminale, indebolita dal duro lavoro svolto da inquirenti e investigatori.
È cresciuto a Pignataro a pane e mafia e ora starebbe tentando di smarcarsi da quel sistema che ha inquinato Terra di Lavoro: Pietro Ligato è figlio del boss Raffaele Ligato, deceduto in carcere, a Milano, nel 2022, e di Maria Giuseppa Lubrano, sorella di un altro padrino di mafia, Vincenzo Lubrano, scomparso nel 2007, che perse nel 2002 il figlio Raffaele, ucciso su ordine del gotha del clan dei Casalesi.
Il potenziale conoscitivo malavitoso di Pietro Ligato, se il cammino della collaborazione non registrerà intoppi, potrà rivelarsi importante per la Dda di Napoli, dato che andrebbe ad acquisire informazioni su una frangia malavitosa che, basata su forti intrecci familiari, finora era stata caratterizzata da pochissimi pentimenti (e gli affiliati che avevano deciso di violare il patto di omertà erano stati soltanto – quasi tutti – figure di secondo ordine).
L’essere cresciuto in una famiglia centrale nel sistema criminale dell’Agro caleno, in costanti rapporti con i vertici dei Casalesi, ha permesso a Ligato di avere notizie non solo sui meccanismi estorsivi, che sono ancora tragicamente vivi in provincia di Caserta, ma anche sui rapporti tra uomini d’affare e clan. E potrà riferire ai pm anche sulle ingerenze della criminalità organizzata nel mondo politico. L’incidenza mafiosa sulle amministrazioni dell’Agro caleno, infatti, seguendo la tesi dei magistrati, sarebbe tutt’ora molto presente: lo dimostrano lo scioglimento per infiltrazione del consiglio comunale di Sparanise, avvenuto nel 2022, e quello più recente di Calvi Risorta.
Al di là dell’apporto investigativo che – se la collaborazione dovesse dimostrarsi genuina – potrebbe rivelarsi importante, il pentimento di Ligato ha pure una possente rilevanza mediatica nel contrasto alla mafia, perché evidenzia come chi è al vertice delle cosche non è più disposto a tacere, a conservare i segreti mafiosi e affrontare la detenzione. Quel sistema si è indebolito e ora è più che mai vulnerabile: chi lo governa non è pienamente (per fortuna) convinto di quei valori maligni che prima abbracciava. Il pentimento di Ligato è l’ennesima crepa nel mondo mafioso casertano che la Procura di Napoli, ora guidata da Nicola Gratteri, proverà a sfruttare per ridurre la sua capacità offensiva (con la speranza che riesca ad annientarlo definitivamente).
L’arresto per armi e l’omicidio Abbate
È datata novembre 2007 una delle prime esperienze con la macchina della giustizia per Pietro Ligato. I carabinieri lo arrestarono insieme ai fratelli Antonio e Felicia con l’accusa di detenzione di munizioni e parti di armi da guerra, oltre che di possesso di droga. Nel corso del blitz presso la loro abitazione, i carabinieri trovarono una bomba carta di oltre due chili, proiettili, parti di armi e anche 180 grammi di hashish.
Successivamente venne coinvolto in un’inchiesta, insieme al padre boss Raffaele, riguardante l’omicidio di Raffaele Abbate, assassinato nel 2000 in una villetta in località Partignano a Pignataro Maggiore. La vittima era il genitore del collaboratore di giustizia Tonino Abbate.
Dopo anni di silenzio, la sua famiglia tornò alla ribalta della cronaca tra il 2018 e il 2019 con un’indagine che attestò il coinvolgimento dei fratelli, all’epoca liberi, Antonio e Felicia (adesso sono al 41 bis), nel commercio della droga nell’Agro caleno. Nel 2023, invece, i carabinieri arrestarono pure Pietro, proprio con Antonio e Felica, e indagarono la madre, Maria Giuseppa Lubrano, con l’accusa di aver estorto una società di onoranze funebri. Da questa contestazione sono stati tutti assolti, ma Pietro Ligato ha rimediato ugualmente un verdetto di colpevolezza per una tentata estorsione – emersa in quella stessa inchiesta – riguardante un lotto del cimitero di Pignataro e per lesioni.
Il neopentito potrà fornire informazioni sugli intrecci tra cosche, imprese e politici
Politica e mafia: nel corso degli anni, il rapporto tra questi due poli è gradualmente cambiato. Si è passati da una relazione in cui chi amministrava subiva la forza dell’organizzazione criminale per arrivare, oggi, allo scenario diametralmente opposto, dove è chi partecipa alle elezioni a cercare il rappresentante del clan per ottenere aiuti.
Mutano le posizioni, ma l’intreccio dei due mondi (associato a quello delle imprese), purtroppo, nonostante gli sforzi degli investigatori e dei magistrati, è ancora vivo. E Pietro Ligato, da collaboratore di giustizia, potrà riferire anche su questa commistione. E potrà farlo in relazione a una zona dove il pentitismo aveva attecchito poco (circostanza che è inversamente proporzionale alla forza della mafia).
La famiglia di Ligato venne tirata in ballo in una delle inchieste che scosse la politica casertana: ci riferiamo a quella che portò all’arresto, nel 2011, di Giorgio Magliocca, quando era sindaco di Pignataro Maggiore.
Secondo la tesi accusatoria, smentita nei successivi gradi di giudizio, Magliocca (che è stato assolto e anche risarcito per l’ingiusta detenzione affrontata) era stato appoggiato e sostenuto nelle competizioni elettorali prima da Lello Lubrano e successivamente, alla morte di Lubrano, da Pietro Ligato. In cambio, secondo l’accusa, Magliocca non aveva effettuato controlli sui beni confiscati al clan, consentendo che i capi e i loro familiari continuassero a gestire quelle proprietà. Ripetiamo, si tratta di accuse che non hanno retto nel processo, nel corso del quale Magliocca ha potuto dimostrare la propria innocenza. Ma sarà fisiologico che, quando Ligato sarà chiamato a parlare dei rapporti con la politica, affronterà anche quel periodo storico su cui la Dda aveva già acceso i riflettori.
Le sue estorsioni emerse con l’indagine su Mezzero
È stata l’indagine sul boss Antonio Mezzero (nella foto a destra) a far scattare un nuovo arresto per Pietro Ligato. Nell’ottobre 2024, venne raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere su richiesta della Dda di Napoli. Mentre i carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta tenevano accesi i riflettori sullo storico esponente del clan dei Casalesi, originario di Grazzanise, tornato in libertà nell’estate del 2022 (dopo oltre 25 anni di prigione), appresero che Ligato era ancora al centro di vicende estorsive. Gli elementi raccolti dai militari dell’Arma hanno fatto emergere che Ligato, referente del clan dei Casalesi nell’Agro caleno, nel novembre 2022 si fece consegnare 20mila euro da un imprenditore che aveva comprato un capannone situato a Francolise.
Oltre a questo episodio, il pm Vincenzo Ranieri, titolare dell’inchiesta su Mezzero e sodali, gli contesta una richiesta di pizzo di 1.500 euro, somma che pretendeva, accampando un presunto diritto a ottenere un compenso per la sua ‘mediazione’, da un cittadino che aveva acquistato un terreno agricolo a Pastorano. Ligato, secondo gli investigatori, era anche tra i mafiosi con cui Mezzero stava riallacciando i rapporti per ridare forza al clan dei Casalesi, fiaccato da arresti e pentimenti. Un tentativo di ridare linfa all’organizzazione che fortunatamente è stato subito troncato dai carabinieri e dalla Dda. Un tentativo su cui proprio il pentimento di Ligato potrà rappresentare la pietra tombale.
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Imprenditori sotto estorsione, in manette i tre fratelli Ligato