Cronache, una redazione nel mirino della camorra. Tante intimidazioni e minacce nel tempo

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Maria Bertone, direttore di Cronachedi.it, Cronache di Napoli e Cronache di Caserta
Maria Bertone, direttore di Cronachedi.it, Cronache di Napoli e Cronache di Caserta

CASERTA – In diverse occasioni i giornalisti di “Cronache” sono finiti nel mirino e in qualche caso si è giunti a una condanna. A gennaio del 2023, Giovanni Cellurale, 50enne di Aversa, ritenuto un esponente di spicco del clan dei Casalesi, facente capo al boss di Casal di Principe Francesco Bidognetti, detto “Cicciotto ‘e Mezzanotte”, fazione Caterino di Cesa, è stato condannato a un anno e mezzo. La sentenza è stata emessa dalla Corte di Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presidente Luciana Crisci, che ha accolto la richiesta di condanna del pubblico ministero, il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli Fabrizio Vanorio, comminando la pena massima prevista dal codice penale per questo reato.

Agosto del 2021, quando l’uomo del clan, attualmente detenuto presso il carcere di San Gimignano, inviò una lettera manoscritta alla redazione di Cronache dal carcere di Palermo, dove era allora ristretto. Una nota firmata con il suo nome e cognome, con tanto di data di nascita. “Sai – scriveva fra l’altro il camorrista – ti stavo pensando. Spero di vero cuore che al più presto uscirò, così ti faccio saltare in aria. Ora lo dico a tutti, che se qualcuno esce prima di me ti deve sparare 10 colpi tutti in bocca, a te e a tutta la tua razza di merda… Ti giuro che il giorno che uscirò ti vengo a sparare in bocca”.

Tanti altri episodi si sono verificati nel corso degli anni: la mattina del 17 novembre del 1995, una telefonata anonima informò i carabinieri che nella periferia di Mondragone c’era un cadavere carbonizzato incastrato sotto un’auto. Era quello del giornalista Enzo Avino. Erano passati sul suo corpo con la sua stessa auto, un’Autobianchi A112, per poi dargli fuoco mentre era ancora vivo. Dall’uscita in edicola del primo numero del giornale erano trascorsi appena cinque mesi.

Nella notte tra il 24 e il 25 marzo del 1999 gli scagnozzi della camorra si infilarono nel palazzo in corso Trieste, a Caserta, allora sede del “Corriere di Caserta”. Riuscirono a raggiungere il secondo piano con una tanica di cherosene. Gettarono il liquido contro il portone d’ingresso e appiccarono il fuoco. I ragazzi che abitavano al terzo piano scesero al secondo e videro il portone in fiamme. Chiamarono i vigili del fuoco che riuscirono a domare il rogo prima che si propagasse. Il portone era ormai semidistrutto ma per fortuna era stato scongiurato un incendio che avrebbe potuto estendersi a tutto il palazzo e fare decine di vittime. Il 22 dicembre del 2005 la cronista Debora Carrano era appena rientrata a casa, alle 21. A un certo punto il suono del citofono. Qualcuno l’avvertì: la sua Fiat 600 era in fiamme. Di nuovo i vigili del fuoco per domare l’incendio. Il 21 giugno del 2011 la cronista Tina Palomba fu svegliata di notte dai vicini. La sua auto era avvolta dalle fiamme. Che furono spente quando la vettura era ormai distrutta.

In una lunga lettera dal carcere, pubblicata da un foglio locale il 20 agosto del 1998, il boss dei Casalesi Francesco Schiavone, detto “Sandokan”, sosteneva che il Corriere di Caserta non era un organo di informazione attendibile e che quindi chi voleva informarsi doveva evitare di comprarlo, scegliendo invece il giornale che aveva pubblicato quella lettera. Nel novembre del 1998 i due boss dei Casalesi e Antonio Iovine e Michele Zagaria, latitanti già da tre anni, si incontrarono per fare una telefonata congiunta a un giovanissimo giornalista del Corriere di Caserta, Carlo Pascarella. Gli dissero termini che doveva “smetterla di scrivere stronzate” sul loro conto. Nonostante la giovane età, Carlo riuscì a tenere testa ai due criminali, arrivando addirittura a chiedere loro dove si trovassero. La telefonata è stata poi trasmessa in diversi programmi Rai (Annozero, Blu Notte e Porta a Porta).

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