ROMA – La sua storia, quella di Stefano Cucchi, la conoscono in tanti. In questi anni ci sono stati annunci, proclami, udienze. Da poche settimane quella stessa storia è arrivata persino nei cinema ma nelle aule giudiziarie non si è ancora conclusa. Oggi è stato il giorno dei testimoni nel processo per la morte di Stefano Cucchi. A sfilare sul banco davanti ai giudici della prima Corte d’Assise sono stati gli infermieri del 118 che furono chiamati dai carabinieri durante la notte dell’arresto. Ma non solo loro. In aula c’erano anche gli agenti della Penitenziaria che si occuparono del trasferimento in tribunale la mattina del 16 ottobre 2009. Quello stesso giorno il personale del 118 raggiunse la caserma all’alba del 16 ottobre.
“Era su una branda e si copriva con un telo fino agli occhi”
Uno degli infermieri ha raccontato che Stefano “era disteso sulla branda e si copriva con il telo fin sopra il viso”. Non rispose alle domande e continuava a dire al paramedico: “Non mi serve niente”. “Sono riuscito solo a prendergli la pressione – ha spiegato l’infermiere – Aveva parametri regolari”. Poi ha aggiunto anche che le pupille “erano normali ma sotto le palpebre e intorno agli occhi, sullo zigomo, era arrossato”. Quando lasciò la cella, l’infermiere, dopo circa dieci minuti, lasciò “immutato il codice giallo”. Poi è stata la volta degli agenti di polizia penitenziaria. Da quanto dichiarato è emerso che Stefano, il giorno dopo l’arresto, era dolorante e presentava “segni rossi sotto gli occhi”. Anche a camminare faceva fatica.
La manifestazione all’esterno del tribunale
Intanto, come in un moto spontaneo, all’esterno del tribunale, circa cento persone si sono radunate chiedendo che si a fatta giustizia. “Sappiamo chi è stato. Con Stefano nel cuore, con il sangue agli occhi” recita uno slogan scritto su uno striscione dai promotori della manifestazione. Coinvolti nell’inchiesta sulla morte del geometra romano avvenuta il 22 ottobre del 2009 ci sono cinque carabinieri. In tre, Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, rispondono di omicidio preterintenzionale. L’ultimo, risponde anche di falso nella compilazione del verbale di arresto di Cucchi e di calunnia, insieme al maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti a capo della stazione Appia, dove venne eseguito l’arresto. Infine Vincenzo Nicolardi, accusato di calunnia con gli altri due, nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria che vennero accusati nel corso della prima inchiesta. Stefano Cucchi venne arrestato 15 ottobre del 2009 in via Lemonia, a Roma, a ridosso del parco degli Acquedotti, perché sorpreso con 28 grammi di hashish e qualche grammo di cocaina.
Secondo l’accusa fu sottoposto a un pestaggio la notte del suo arresto
Secondo l’accusa, il giovane fu colpito la notte del suo arresto, dai tre carabinieri imputati con “schiaffi, pugni e calci”. Il pestaggio, per la procura, causò tra l’altro “una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale” provocando sul giovane “lesioni personali che sarebbero state guaribili in almeno 180 giorni e in parte con esiti permanenti, ma che nel caso in specie, unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte”, il 22 ottobre del 2009. Nel procedimento sono parte civile, oltre ai familiari del giovane, il Comune di Roma, Cittadinanzattiva e gli agenti della penitenziaria accusati nella prima inchiesta sulla morte del giovane.