Dal Duce al… Truce

Che non fosse facile cambiare le cose e riformare lo Stato con la sua burocrazia e le convenienze politico-clientelari, rinnovando strutturalmente scuola, sanità e fisco, era cosa ben nota. Che lo si potesse fare affidando la maggioranza all’unico partito che non aveva mai governato prima d’ora ed investendo la sua prima leader donna della carica di premier, è stata una delle tante illusioni del corpo elettorale, ovvero di quella parte dello stesso che vi faceva affidamento. Nessuno può ergersi a veggente, predicendo il futuro che potrebbe smentirci. Però, si sa, se il buon giorno si vede dal mattino, i primi passi dell’esecutivo lasciano intravedere atti ispirati più alla continuità rispetto al passato che a un radicale cambiamento. La manovra di bilancio, per intenderci, ripercorre la vecchia strada dell’assistenzialismo e quella di una spesa attinta in gran parte al pozzo senza fine del debito pubblico. Insomma: il solito aumento del prezzo delle sigarette e la politica degli aiuti a pioggia per le categorie maggiormente interessate dal danno proveniente dal caro energia. Sul reddito di cittadinanza molte parole e pochi fatti, se verrà confermato a condizione che il beneficiario accetti un lavoro. Si dovrebbe anche aggiungere che senza la riforma del collocamento (e il recupero di efficienza dei suoi uffici territoriali), non si capisce poi chi quel lavoro debba effettivamente offrirlo e secondo quale prassi. L’unico elemento programmatico che appare più chiaro è quello del contingentamento dello sbarco dei migranti, ma è ben poca cosa all’atto pratico, se non mera propaganda. Da un lato si inneggia alla difesa degli interessi nazionali, quali essi siano, dall’altro si accettano proposte da alleati di governo che il concetto stesso di nazione mettono a repentaglio. Basta sentire Salvini sciorinare l’elenco delle opere pubbliche prioritarie finanziate con i soldi del Pnrr, per accorgersi che parliamo di interventi da farsi “solo” per il Nord del Belpaese. E il nostro Sud? Lì restano, residuali e improbabili, la chimera del ponte sullo Stretto e le immancabili dichiarazioni su fantomatici “cantieri” mai finanziati o nemmeno ancora progettati nel piano di interventi che prevedono l’impiego dei fondi europei. Non a caso il flemmatico Gentiloni, commissario Ue, si è recentemente svegliato dal sonno per sollecitare il governo di destra a rispettare i termini convenuti. Ancora di più Salvini ha insistito sulla necessità di dare subito corso all’autonomia differenziata che, nelle attuali condizioni socio economiche regionali, significherebbe allargare ulteriormente la forbice tra il settentrione ed il meridione. Per dirla con altre parole: è la vecchia logica secessionista che viaggia sotto traccia dopo la sconfitta elettorale della Lega, in uno con la cosiddetta flat tax dedicata al popolo delle partite Iva del Nord Est. Un combinato disposto che dovrebbe rilanciare le parole d’ordine del Carroccio che percepisce allentata la storica presa sull’elettorato settentrionale. Una sperequazione concreta tra le due aree dello Stivale, che stride con i propositi sciovinisti della Destra di governo, almeno di quella parte che ha reminiscenze delle battaglie del passato. Che la Meloni abbia messo un politico scafato e capace come Fitto a gestire il Pnrr serve a poco se, innanzi all’azione dei leghisti, il premier si limita ad alzare il sopracciglio come unico segno di perplessità. Insomma: la morsa si va stringendo intorno ai propositi “rivoluzionari” del primo ministro che, peraltro, sconta la mancanza di uomini di esperienza nelle cose di governo (ancorché sua diretta emanazione). La crisi della politica nasce, cresce e si conferma per quella che è: una crisi di sistema che prescinde dagli inquilini di palazzo Chigi. E’ il sistema elettorale e i vecchi vincoli costituzionali a vanificare ogni buon proposito riformista. Mille infatti sono i condizionamenti e le possibilità di mettere in minoranza chi governa perché viene a mancare una delle aliquote della maggioranza. Ciascun governante alla fine, pressato dalle emergenze e dalle incombenze, si rassegna e si adegua alla filosofia della sopravvivenza, a un andreottismo delle coscienze, che guarda all’utilità dell’oggi più che alla prospettiva del domani. Considerate la pioggia di miliardi che si stanno dissipando per alleviare il caro bollette, nel mentre, Oltralpe, i Francesi, oltre a costruire nuove centrali nucleari di quarta generazione, con imprese ed ingegneri italiani, nazionalizzano le aziende energetiche, fa pensare e non poco. Attenzione: quest’ultima ipotesi non suoni come un’abiura del libero mercato, bensì solo come un’esigenza circoscritta che serve a tutelare la popolazione e lo Stato dalla cinica speculazione. Un provvedimento, insomma, che può essere rivisto in tempi futuri. Insomma non serve a niente un “Duce” se un “Truce” come Salvini, uscito malconcio dalle urne, può fare quel che gli pare e piace.

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