CASERTA (ads) – Dal 2020 è in atto uno scontro tra le associazioni ambientaliste e il Gruppo Eni., colosso dell’oil&gas. Velocemente, si è trasformata in una causa in tribunale tra ReCommon (che lotta contro gli abusi di potere) e Greenpeace Italia contro Eni. Il 9 maggio scorso, le due associazioni, insieme a 12 cittadine e cittadini, hanno citato Eni al tribunale di Roma per l’apertura di una causa civile per i danni all’ambiente. La vicenda ha cambiato rotta il 26 luglio, con la citazione in giudizio da parte dell’azienda verso gli attivisti, accusati di diffamazione e chiedendo un risarcimento danni. Gli ambientalisti hanno continuato ad accusarli di greenwashing e di danni all’ambiente durante la campagna ‘Giusta causa’.
LA RICERCA
La denuncia degli ambientalisti prende forma in un rapporto realizzato dopo mesi di ricerca presso biblioteche, archivi e istituzioni scientifiche.
“Eni sapeva!”, scrivono le voci dell’ambiente, “Già negli anni ‘70 il colosso italiano era a conoscenza degli effetti devastanti dei combustibili fossili sul clima del Pianeta. Lo dimostrano alcune sue stesse pubblicazioni, che abbiamo scoperto con una nostra inchiesta. Eppure ha continuato a investire consapevolmente su petrolio e gas, alimentando la crisi climatica che oggi minaccia le vita di tutte e tutti noi”. L’estratto della pubblicazione di Isvet (società del gruppo Eni) risalente al 1970 cui fanno riferimento recita: “L’anidride carbonica presente nell’atmosfera, secondo un recente rapporto del Segretario dell’Onu, data l’accresciuta utilizzazione di olii combustibili minerali, è aumentata nell’ultimo secolo del 10% in media nel mondo; verso il 2000 questo incremento potrebbe raggiungere il 25%, con conseguenze catastrofiche sul clima”. Dicitura simile è stata trovata in un documento del 1978, in cui si pone l’accento sulla pericolosità dei combustibili fossili. Il rapporto completo di GreenPeace incolpa il colosso italiano di essere consapevole degli effetti dannosi dei combustibili fossili sul clima raccogliendo prove risalenti ai primi anni ‘70 fino agli anni ‘90. Infine, accusano l’azienda di greenwashing, aggiungendo le parole di Benjamin Franta, ricercatore in materia climatica: “Dalla fine degli anni ‘90 molte aziende produttrici di combustibili fossili si sono allontanate dal palese negazionismo e sono passate al greenwashing, cioè hanno iniziato a ingannare il pubblico facendogli credere che l’industria dei combustibili fossili avrebbe risolto il problema che aveva creato”.
LA CAUSA
Con questa causa, gli attivisti chiedono un accertamento delle responsabilità dei convenuti per i danni provocati, che il tribunale giudicante obblighi Eni a rivedere la sua strategia industriale per ridurre le emissioni di gas climalteranti del 45% in linea con l’Accordo di Parigi, e costringa il ministero dell’Economia e delle Finanze, azionista di Eni, ad adottare una politica climatica. Contemporaneamente, Eni afferma di aver abbracciato gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile contenuti nell’agenda 2030 delle Nazioni Unite “con il traguardo delle emissioni zero al 2050”e al patto “Together with Nature” per investire sull’energia rinnovabile e proteggere la biodiversità.
© RIPRODUZIONE
RISERVATA