NAPOLI – Una situazione politica nazionale in continua evoluzione, una crisi dei partiti che va superata andando oltre gli steccati ideologici ma guardando ai principi, un eventuale soggetto ‘terzo’ che sia da sprone per tornare a dare una prospettiva all’elettorato. Giuseppe De Mita, ex deputato, ex vicepresidente della giunta regionale, ex vicesegretario nazionale dell’Udc, attualmente non ricopre incarichi istituzionali né politici. Ma un cognome come il suo, specie in Campania, conta e muove voti. E può fare la differenza in una partita importante come quella delle prossime Regionali.
Prendiamola alla lontana, dal quadro politico nazionale. Cosa vede, e come crede si evolverà?
La crisi di governo dell’estate scorsa ha certificato la crisi di ogni equilibrio politico. Oggi è tutto molto instabile, incerto, non ha una direzione di marcia. La tripartizione del consenso, se non quadri partizione calcolando il partito dell’astensione, ha creato il disorientamento dell’elettorato, rendendolo fluttuante. Ora, forse, comincia a ricomporsi un bipolarismo, ancora grossolano, con il centrodestra egemonizzato dalla Lega da una parte e il centrosinistra alleato del Movimento 5 Stelle dall’altra. Ma il dato politico è questo: il posizionamento dei partiti è risultato di espedienti, tecniche di sopravvivenza. Combinando numeri e rapporti si possono fare maggioranze di governo, ma non produrre politiche di governo. La corsa politica è orientata solo alla conquista del potere. Il dato più clamoroso è questo: il Pd con gli 80 euro, il M5s col reddito di cittadinanza e la Lega con Quota 100 non sono riusciti a cambiare la realtà. Significa che le forze politiche non dicono la verità storica.
Ma sono più disorientati gli elettori o gli eletti?
La società ha perso i punti di riferimento, viviamo un’inquietudine profonda: ognuno registra un alto grado di insicurezza. La politica gioca sull’emotività, ma è sia vittima che carnefice. In superficie stiamo assistendo a una competizione apparente, tra chi tenta di resistere e chi di sfondare. Ma a guardare bene la società è indifferente. La vera sfida è più profonda, non è ancora emersa: è quella tra le forze che ignorano la lettura storica degli eventi e quelle in grado di dare una prospettiva. Il dramma di oggi è che non c’è più un pensiero intorno a economia, democrazia, società: non c’è prospettiva e questo genera malessere. La Lega al 34% è un abbaglio come lo è stato il 40% del Pd renziano: grida e interpreta questo malessere. Il problema non è cambiare partito ma sistema istituzionale. Putin, per esempio, parla da tempo di obsolescenza dei sistemi democratici. Le democrazie tutelano una parte marginale della vita quotidiana di ciascuno, ecco perché la primazia della politica passa per la rideterminazione del valore centrale dei fattori democratici.
Sta forse dicendo che, con la democrazia in crisi, teme un ritorno ai totalitarismi?
Sto dicendo che dobbiamo recuperare cultura politica. Mi ha colpito molto il discorso di Conte quando è venuto ad Avellino, alla Fondazione Sullo: mi è sembrato che, anche inconsapevolmente, si chiedesse quale fosse la cultura politica dei 5 Stelle. Sa perché è fallita l’alleanza Pd-5 Stelle in Umbria? Perché, prima ancora di spiegarla a chi doveva votarla, non è stata capita da chi l’ha fatta. Se entrambi gli attori avessero ripensato le loro storie, e ammesso le crisi, con onestà, avrebbe funzionato. Invece si è ridotta a trasformismo.
In questo scenario, lei dove si colloca? Tra i moderati, al centro…
Io non sono né moderato né centrista, sono un cattolico liberale. Attualmente ho difficoltà a collocarmi, sia come elettore che in vista di eventuali alleanze. L’equilibrio politico va riscritto, ma non sulle macerie del presente. Chi si chiede “stai più a destra o più a sinistra?” non ha capito cosa sta succedendo. La politica è una casa che sta cadendo. Bisogna riavviare una dialettica sulle culture politiche, ma non vedo in giro molti che si fanno domande del genere.
Con questo quadro nazionale così confuso anche a livello locale non ci sono molte certezze. Ma la nostra regione è chiamata a una sfida elettorale importante l’anno prossimo. Lei da che parte sta?
In Campania siamo una presenza, certo, e il nostro obiettivo è assumere una posizione politica che si faccia interprete del disorientamento generale. La stortura dentro la quale ci siamo infilati dipende dall’idea alterata di persona umana, legata all’idea del consumo, della ricchezza, della libertà infinita. Questa torsione ci ha fatto accettare modelli che hanno distrutto l’idea di persona. Reintrodurre una posizione politica che metta al centro le esigenze di giustizia sociale e libertà, partirei da questo. Vogliamo assumere una posizione politica anche dura, eversiva, ma che garantisca uguaglianza, per costringere le altre forze politiche a discutere.
Destra o sinistra? Glielo devo chiedere per forza… alla fine il discorso, nel pratico, non prescinde da questo.
Non mi convince né chi dice “Abbiamo fatto tutto bene”, né chi si lamenta che va tutto male. Allo stesso modo non mi piace lo slogan dei ‘moderati’ o del ‘si deve riorganizzare il centro’. Da decenni c’è un enorme equivoco: leggiamo il centro come differenza aritmetica tra i voti del centrodestra e quelli del centrosinistra, una lettura veramente patetica. Il centro non è un luogo algebrico, ma una posizione politica. Non è l’ incertezza dell’ultimo minuto. Siamo una forza con cui le altre forze politiche devono confrontarsi, siamo non ancillari ma egemonici. Osservo con attenzione la Regione da almeno dieci anni, ci sono stato all’interno come assessore: le esperienze civiche o centriste sono state irrilevanti. Hanno fatto una lista, hanno eletto un consigliere che, dopo 6 mesi, puntualmente ha cambiato casacca, insomma: nessun progetto, nessun risultato. Così è tempo perso. Al momento in Campania non vedo vincitori né perdenti. Qualcosa De Luca ha fatto, ma pur riconoscendo questo non mi accontento: sono molto più esigente. E in questi 5 anni in Regione c’è stato un eccesso di personalismo.
Dicono che fermo comunque non sta, che nel progetto di ‘Sud’ con D’Anna, Montemarano, Milo e Falanga ci sia anche lei…
Confermo, dialogo soprattutto con D’Anna, e con Montemarano, con Gioacchino Alfano. Insieme proviamo a sfuggire a un meccanismo perverso: la conservazione dell’esistente. Le ho detto di De Luca, ma le dico anche che io non vedo il centrodestra. La posizione più di centrodestra è quella della Carfagna.
Perché, a suo parere, la posizione della Carfagna è di centrodestra?
Giusta osservazione, ma mi attengo alle nomenclature ufficiali in assenza di nuove comunicazioni. Lei ha ragione sulla Lega, schiaccia troppo la coalizione e attinge a un bacino culturale che svilisce la democrazia. Ma comunque tutti quanti sono in crisi: il Pd, il Movimento 5 Stelle. Noi vogliamo aprire una discussione con tutti quelli che pongono un problema, nei loro contenitori, dalla Carfagna ad andare a sinistra.
Siamo da capo a dodici, insomma. Non avete deciso ancora da che parte stare.
Non sceglieremo il meno peggio, è una logica suicida. Significherebbe annullare il pensiero, consegnare il comando a chi non sa comandare. Noi dobbiamo essere la pietra dello scandalo, quelli che pongono un problema, quelli che fanno venire fuori le difficoltà di ciascuno. E il nostro è un discorso aperto a livello anche nazionale: la Campania non è un punto di inizio né di arrivo.