Def, nel 2017 tax gap da 91 miliardi. Da autonomi e imprese maggiore evasione Irpef

L'economia sommersa pesa enormemente nel Mezzogiorno, dove è pari al 19% del valore aggiunto, vicina alla media nazionale nel Centro

ROMA – Si chiama ‘tax gap’ ed è il buco creato nei conti pubblici dall’evasione fiscale. Ovvero quel mondo che il governo vuole aggredire per trovare risorse – 7 miliardi è l’obiettivo – per finanziare le voci di spesa della manovra. Impresa non da poco, anche e i numeri sono altissimi: il ‘gap’ nel 2017 è stato di 90,8 miliardi euro, 4,6 in meno rispetto al 2014. Insomma, qualche passo è stato mosso, ma non è abbastanza. Solo l’Iva nel 2017 ha pesato per oltre 37 miliardi.

Il tax gap Irperf

In dettaglio, il tax gap Irpef da lavoro autonomo e da impresa, Ires, Iva e Irap ammonta a 84 miliardi di euro nella media del periodo 2014-2016. A questa stima occorre aggiungere i circa 6,1 miliardi di euro dell’Irpef per il lavoro dipendente irregolare, comprese le addizionali regionali e comunali, i circa 5,1 miliardi di euro dell’Imu per gli immobili diversi dall’abitazione principale, circa 944 milioni di euro per la cedolare secca e 741 milioni per il canone Rai.

Allarme sulle entrate contributive

Allarme rosso anche sul fronte delle entrate contributive: nel 2014-2016 la media evasa è di circa 11,4 miliardi di euro all’anno, di cui 8,6 miliardi circa a carico dei datori di lavoro e 2,7 miliardi a carico dei lavoratori dipendenti. Che significa? Guardando i numeri, la propensione all’evasione è in media pari al 21,9%, con un picco del 68,3% sull’Irpef per i lavoratori autonomi e le imprese. Si riduce invece il ‘buco’ della cedolare secca sulle locazioni (-21,3 per cento) e, viceversa, aumenta quello delle accise sui prodotti energetici (+ 28,9 per cento).

Quanto costa l’economia sommersa

L’economia sommersa pesa enormemente nel Mezzogiorno, dove è pari al 19% del valore aggiunto, vicina alla media nazionale nel Centro (14,2%) e inferiore nel Nord-est (11,9%) e nel Nord-ovest (11,4%). La Calabria è la regione in cui si registra il maggior ‘nero’, con il 20,9% del valore aggiunto complessivo, mentre l’incidenza più bassa è nella Provincia autonoma di Bolzano/Bozen (10,4%). La Puglia e l’Umbria presentano la quota più alta di rivalutazione del valore aggiunto sotto-dichiarato (8,4%), seguite da Molise e Marche (entrambe 8,2%), mentre il sommerso dovuto all’impiego di input di lavoro irregolare prevale in Calabria (9,4% del valore aggiunto) e Campania (8,6%).

(AWE/LaPresse)

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