CASERTA – Rieducare i detenuti e impedire che continuino a delinquere: sono gli obiettivi che, in teoria, punta a raggiungere il sistema carcerario. Ma difficilmente vengono centrati. Ed infatti le indagini condotte dalle Procure di mezza Italia stanno dimostrando come ormai troppe prigioni si siano trasformate in luoghi dove delinquere è la norma. E all’elenco di queste inchieste da ieri possiamo aggiungere quella condotta dai carabinieri della Compagnia di Capua, coordinata dalla Procura di S. Maria Capua Vetere, che ha fatto scattare, su ordine del giudice Emilio Minio, quattordici misure cautelari per altrettanti indagati accusati, a vario titolo, di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti e accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione, reati che avrebbero commesso mentre si trovavano nella prigione di Carinola. Il giudice ha disposto il carcere per Massimo De Solda, Bruno D’Avino, Salvatore Riccardi, Simone Hezler, Ivan Engheben, Salvatore Della Gaggia e Michele Iommelli. Domiciliari, invece, per Vincenzo D’Avino, Samuele Artiaco, Saad Jlili, Gennaro Solla, Salvatore Scala, Roberto Aleksic e Simone Sacchettino. L’inchiesta ha coinvolto anche altre 18 persone per le quali, però, non è stata disposta alcuna misura restrittiva.
L’attività investigativa, sostiene la Procura, ha consentito di smantellare una vera e propria piazza di spaccio organizzata dai detenuti all’interno del penitenziario di Carinola. I militari sarebbero riusciti a delineare l’efficiente modus operandi adottato dagli indagati per eludere i controlli e consentire l’ingresso nella prigione di stupefacenti, cellulari e schede telefoniche, nonché di accertare (sia pure in fase solo investigativa e senza il contraddittorio con le difese) la responsabilità di alcune persone accreditate e con accesso alla struttura carceraria (detenuti lavoratori e un educatore) che, approfittando del proprio ruolo, fungevano da trait d’union tra l’esterno e l’interno della struttura e tra i vari detenuti.
Lo stupefacente, gli apparecchi e le schede telefoniche venivano introdotti nel penitenziario celando all’interno di confezioni sottovuoto di salumi e formaggi che venivano inviati in pacchi indirizzati ai detenuti. Per avere un cellulare, stando a quanto tracciato dall’inchiesta, un detenuto arrivava a pagare fino a 800 euro.
Nel corso dell’attività sono state tratte in arresto, in flagranza di reato, anche diverse persone e sequestrati complessivamente circa 1,7 chili di sostanze stupefacenti oltre che 9 dispositivi telefonici e 20 schede telefoniche. Gli indagati sono da ritenere innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile. Nel collegio difensivo, tra i legali impegnati, gli avvocati Loredana De Risi, Edmondo Caterino e Luigi Marrandino.
Un educatore e un addetto alle cucine i cardini del sistema
CASERTA (gt) – Una perfetta sinergia tra i detenuti e i loro parenti e amici fuori dalla struttura carceraria: è ciò che avrebbe permesso l’ingresso nel penitenziario di Carinola di droga e cellulari. E in questo sistema una figura centrale, ritiene la Procura di S. Maria C.V., è rappresentata anche da un educatore: si tratta di Fabio Savastano, docente di un corso di tinteggiatura per i detenuti, ruolo che gli consentiva, sostiene l’accusa, un’agevole introduzione nel carcere di materiale illecito. Altro elemento cardine sarebbe stato Antonio Zazzaro, detenuto che era autorizzato a lavorare nelle cucine e per tale funzione in grado di avere rapporti con più detenuti. Nel dettaglio, l’inchiesta che ieri ha portato all’arresto di 14 persone è scattata il 27 gennaio 2021, quando in occasione di un controllo ai pacchi inviati ai detenuti, i poliziotti della penitenziaria scoprirono dell’hashish avvolto in cellophane per un peso di 107 grammi e 5 schede telefoniche. Il tutto era occultato in confezioni sottovuoto di salumi e formaggi inviati a Massimo De Solda dalla madre, Carmela Di Napoli. Vennero disposte poi perquisizioni nelle celle e qui trovarono dei pizzini nascosti in un libricino del Vangelo e in un borsello, custoditi nell’armadietto del detenuto Domenico Puca. Si tratta di scritti che facevano riferimento proprio alla circolazione di stupefacenti nel carcere. Partendo da questi elementi i carabinieri sono riusciti a tracciare i detenuti che avrebbero alimentato il sistema di spaccio e circolazione di cellulari in carcere.
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Le prigioni si sono trasformate in palestre di criminalità. Bruni: “Strumenti tecnologici per arginare il fenomeno”
CASERTA (gt) – “Una patologica e inquietante normalità”: sono le parole usate da Pierpaolo Bruni, procuratore di S. Maria Capua Vetere, ieri, in conferenza stampa, per commentare quanto accertato dalla “brillante operazione dei carabinieri”. Un’attività investigativa complessa, condotta dal 2021 al 2022 anche con la collaborazione della polizia penitenziaria, ma che, inevitabilmente, ha aggiunto il magistrato, “arriva tardi”. “Anziché rieducare le persone colpite da carcerazione preventiva o condannate, le carceri sono luoghi – ha dichiarato Bruni – dove si consumano reati”. Il procuratore ha lanciato un allarme chiaro: le prigioni, se non si interviene subito, continueranno a trasformarsi in palestre per la criminalità organizzata: “Lì tenere summit, tessere alleanze o ordinare persino omicidi per esponenti mafiosi risulta paradossalmente facile”. E i tanti telefonini che transitano nella struttura e permettono ai detenuti di comunicare, senza filtri, con l’esterno, consentono di mettere in relazione quel mondo criminale che vive e si alimenta nelle prigioni con quello esterno. “Servono strumenti tecnologici per arginare tale fenomeno”, ha aggiunto. Un allarme non nuovo, quello di Bruni, visto che già lo scorso anno, in relazione alla casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, dove pure droga e cellulari circolano con frequenza, parlò, in occasione di un blitz che impedì l’ingresso di svariati chili di stupefacente programmato con l’uso di droni, della formazione al suo interno di “una grande piazza di spaccio tra le celle”. Bruni, nel corso della conferenza, ha ringraziato la polizia penitenziaria, “le cui segnalazioni danno spesso il via alle nostre indagini”, ma ha pure sottolineato come “i poliziotti penitenziari non sono in grado da soli di individuare tutta la droga o tutti i cellulari che entrano nelle carceri. Per un cellulare che sequestriamo – ha rimarcato – ce ne sono tanti altri che entrano. C’è urgente bisogno di interventi, bisogna ricorrere alla tecnologia. Siamo nel 2024 e ci sono gli strumenti per controllare in modo approfondito ciò che entra nelle carceri”.
Bruni ha informato che la Procura ha organizzato un pool di pm che si dedica esclusivamente alle azioni illecite che si registrano in carcere.
Ma l’impegno degli investigatori, degli inquirenti e anche di chi gestisce le prigioni, per evitare che queste condotte criminali, da soli non basta. “È necessario – ha chiarito Carmine Renzulli, procuratore aggiunto – che ci sia la volontà del detenuto di cambiare. Se non hanno voglia di essere ‘rieducati’ diventa difficile intervenire”.
A spiegare i dettagli dell’indagine, invece, sono stati il colonnello Manuel Scarso, comandante provinciale dei carabinieri di Caserta, il capitano Alessandro Saba, guida della Compagnia di Capua. il tenente Antonio Grasso. a capo del Nucleo operativo e radiomobile della medesima compagnia, e il comandante della stazione di Vitulazio Crescenzo Iannarella.