ROMA (Giuseppe Recchia) – “Il voto per le liste di Calenda e di Conte sono oggettivamente oggi un aiuto alla vittoria della destra”, che le consentirebbe di “superare il 70% di rappresentanza parlamentare”.
Enrico Letta, di buon mattino, decide di radunare in collegamento tutti i 600 candidati del Pd per “un discorso di carica personale”. Il timore del segretario dem – appare evidente – è che una vittoria schiacciante possa consentire al centrodestra di fare le riforme istituzionali cambiando la Costituzione in senso presidenzialista. Ma in serata è Giorgia Meloni a rispondere a queste preoccupazioni, aprendo all’ipotesi di una commissione bicamerale per le riforme: “Una bicamerale è una delle soluzioni su cui sono assolutamente d’accordo, ma occorre un dibattito. Le riforme istituzionali le vorrei fare insieme a tutti ma non mi faccio impantanare dai giochetti della sinistra”.
Ma Letta comunque intravede il rischio, colpa della “torsione ipermaggioritaria della legge elettorale” con cui “il 43% dei consensi si trasforma in un 70% dei seggi in Parlamento”, che “vuol dire poter stravolgere la nostra Costituzione”, che “la destra si eleggerebbe i giudici costituzionali” e “i membri del Csm come le pare”. Anche qui, Meloni gli fa notare che la legge del Rosatellum “è stata scritta e imposta dal Pd, con il voto contrario di Fratelli d’Italia”. E comunque sulle riforme ribadisce “massima disponibilità al dialogo su un tema su cui si deve intervenire, ma partendo dal presupposto che si deve intervenire. Ho interesse a fare una riforma il più possibile buona e il più possibile condivisa”.
L’effetto delle parole di Letta però è anche un altro, quello di aprire l’ennesimo scontro nel ‘fu campo largo’, in particolare con Giuseppe Conte. L’ennesimo richiamo del leader dem al voto utile non va giù al presidente del M5S che lo definisce “arrogante e opportunista”, e invita a non cadere “nella mistificazione di chi pensa che l’unico voto utile sia quello per se stessi”. C’è anche un’altra materia di scontro tra i due leader ‘progressisti’, che chiama in causa l’ex presidente Usa Donald Trump. Il suo ‘endorsement’ a Conte offre un facile assiste al segretario del Pd, che intervistato da LaPresse afferma: “Non penso che Trump si possa sognare di parlare del Pd come di un partito a lui affine e di cui augurarsi il successo. Noi siamo esattamente dall’altra parte e ne sono fiero. Immagino che Conte sia stato molto imbarazzato da quelle parole”. L’avvocato del popolo non gradisce l’accostamento a Trump e il tentativo di negare la natura progressista dei cinque stelle. Li liquida come “balle”, perché “tutti sanno che per i valori e le idee del Movimento c’è una differenza notevole tra noi e le politiche perseguite da Trump”. La verità di Conte è che “il M5S spaventa e cominciano a spuntare dei goffi tentativi” di “schizzare un po’ di fango su di me”, e che si “gioca sporco tirando in ballo una mia presunta fedeltà a Trump sul caso Barr” ai tempi del Russiagate. Mentre, conclude il leader M5S, “posso dire che ho sempre difeso l’interesse nazionale”.
(Lapresse)