CASERTA (Maria Bertone e Giuseppe Tallino) – In quella vera e propria tragedia – economica ma pure culturale – che è l’epidemia di brucellosi che ha colpito gli allevamenti campani, c’è un grande assente: il Consorzio di tutela della mozzarella di bufala dop. Mentre allevatori, trasformatori, associazioni di categoria, istituzioni hanno in qualche modo detto la loro alimentando il dibattito, i rappresentanti dell’organismo che protegge e valorizza il prodotto finale della filiera bufalina, l’oro bianco della nostra terra, sono rimasti in silenzio. A parte un documento in cui neanche prende chiaramente posizione sulla campagna di vaccinazione per gli animali, non si registranoaltre iniziative. Come mai? Eppure, il presidente Domenico Raimondo e i suoi soci dovrebbero essere oltremodo coinvolti, visto che rischia di morire l’intero comparto. E invece, a leggere i dati che il sito del Consorzio pubblica e diffonde, sembra non esserci stato un calo della produzione di mozzarella nonostante la diminuzione dei capi bufalini causata dalla mattanza, spesso indiscriminata, degli animali infetti. “A me i conti non tornano – dichiara Giuseppe Pagano, uno degli allevatori più attivi sul fronte brucellosi, protagonista qualche tempo fa anche di uno sciopero della fame – Come è possibile che, con tot capi in meno, il latte prodotto non sia calato? Forse perché Raimondo parte dal presupposto che una bufala a loro consorziata produca in media 22 litri di latte al giorno quando chiunque abbia un minimo di conoscenza del settore sa che mediamente un animale ne produce 11. Delle due l’una: o le bufale col marchio Dop sono campionesse o c’è stata necessità di gonfiare i dati per evitare il danno d’immagine”. Pagano racconta, per esempio, che nel periodo in cui scoppiò mediaticamente il caso “terra dei fuochi” non si ebbero incrementi di produzione di mozzarella: i dati rimasero stabili, evidentemente a causa del polverone sollevato a proposito del rischio di contaminazione da diossione. Invece, in corrispondenza del periodo più nero per noi allevatori, col picco delle vaccinazioni, non è cambiato nulla. Possibile?
“Noi non riusciamo a sapere nulla di ufficiale. Abbiamo tante domande da fare, magari è la volta buona che attraverso il vostro giornale possano rispondere – continua Pagano – Il Consorzio di tutela non vuole proprio affrontare la questione. So che incontra le associazioni di categoria ma cosa si dicono non lo sappiamo. Per non parlare dell’Istituto zooprofilattico di Portici, Limone e il suo entourage hanno fatto riferimento a normative che poi abbiamo scoperto non esistere. Perché le istituzioni hanno necessita di dire bugie agli allevatori? Se gli atti non danno trasparenza e fiducia, le istituzioni come possono pretendere trasparenza e fiducia? La filiera bufalina è la nostra Fiat. Nel momento in cui ci costringeranno a chiudere bottega tutto il nostro territorio sarà irrimediabilmente più povero”.
La replica: “Non abbiamo competenze in materia sanitaria”
Il Consorzio di tutela della mozzarella di bufala dop non ha competenze in materia sanitaria e in questa vicenda si è sempre affidato alla scienza e alle istituzioni, chiedendo di fare presto per risolvere il problema”: questa, in sintesi, la replica dell’ente, che rimanda a un documento, sottoscritto anche da altre associazioni, risalente a febbraio 2021 “ma ancora attuale”, per sintetizzare la sua posizione sul tema brucellosi. Un testo condiviso con Coldiretti, Cia e Copagri per chiedere una strategia razionale e selettiva per eradicare la brucellosi dagli allevamenti bufalini in Campania senza esporre il comparto a speculazioni commerciali. La notizia del vaccino, si legge nel documento “potrebbe essere strumentalizzata e penalizzare il corretto sviluppo dei mercati nazionali ed esteri. Gli altri operatori del mercato concorrenti ai nostri associati potrebbero utilizzare notizie negative per erodere quote di mercato. Infine, alcune normative internazionali prevedono limitazioni alla distribuzione di prodotti trasformati con materia prima proveniente da animali vaccinati e quindi da allevamenti non ufficialmente indenni. E ancora, la provenienza del latte da allevamenti vaccinati potrebbe essere obbligatoriamente riportata sull’etichetta dei prodotti trasformati causando ulteriori ripercussioni sulla commercializzazione”. Quindi, in sintesi, meglio abbattere che vaccinare?
Solo i ‘grandi’ riescono a entrare nel club
Non è affatto facile entrare a far parte del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana Dop. Come si legge dal sito ufficiale “solo i caseifici che superano l’impegnativo iter di certificazione possono ottenere il marchio della DOP. Successivamente, tali aziende, vengono monitorate costantemente attraverso analisi per garantire il rispetto del disciplinare e gli alti standard qualitativi del prodotto messo in commercio”. In realtà, oltre ai caseifici, sono ammessi al consorzio, fondato 41 anni fa (primo presidente Giovanni De Franciscis) anche gli allevatori produttori di latte e i confezionatori: tutte e tre le figure devono essere immesse nel sistema di controllo dell’organismo. La volontà di entrarne a far parte non ovviamente sufficiente: servono dei requisiti specifici che, se da un lato servono a garantire l’originalità e la qualità del prodotto, dall’altro mettono in difficoltà i ‘piccoli’, penalizzati rispetto a chi può dotarsi di mezzi, strumenti e personale per adeguarsi al disciplinare. Prendiamo per esempio la parte relativa ai luoghi di produzione: “La produzione della “Mozzarella di Bufala Campana” DOP deve avvenire in uno spazio in cui è lavorato esclusivamente latte proveniente da allevamenti inseriti nel sistema di controllo della DOP “Mozzarella di Bufala Campana”. In tale spazio può avvenire anche la produzione di semilavorati e di altri prodotti purché realizzati esclusivamente con latte proveniente da allevamenti inseriti nel sistema di controllo della DOP
“Mozzarella di Bufala Campana”. La produzione di prodotti realizzati anche o esclusivamente con latte differente da quello degli allevamenti inseriti nel sistema di controllo della DOP “Mozzarella di Bufala Campana” deve essere effettuata in uno spazio differente. La separazione fisica deve impedire ogni contatto, anche accidentale, tra latte proveniente da allevamenti inseriti nel sistema di controllo della Mozzarella di Bufala Campana DOP e altro latte, nonché tra la Mozzarella di Bufala Campana DOP e prodotti ottenuti con altro latte e, pertanto, riguarda gli impianti di stoccaggio, di movimentazione, di lavorazione del latte e di confezionamento dei prodotti. Gli impianti e le apparecchiature che non entrano in contatto con il latte e/o con i prodotti da esso ottenuti possono essere utilizzati a servizio di linee di lavorazione situate in spazi differenti. Tale separazione deve essere dimostrata dalla presentazione ed invio agli uffici DQA della planimetria descrittiva dello stabilimento con evidenza delle linee, delle attrezzature, degli impianti e dei reparti dedicati alla DOP”. Lo stesso dicasi per garantire i controlli di tracciabilità. “I caseifici riconosciuti sono tenuti a trasmettere quotidianamente e comunque non oltre i primi due giorni lavorativi della settimana successiva al rilevamenti a DQA le seguenti informazioni: i quantitativi di latte di bufala e di semilavorati, anche in forma congelata, acquisiti con l’indicazione di ciascun soggetto conferente, con la specifica dei quantitativi di latte idoneo a Mozzarella di Bufala Campana DOP e Latte di bufala non idoneo a Mozzarella di Bufala Campana DOP; i quantitativi prodotti di Mozzarella di Bufala Campana DOP; i quantitativi prodotti di Mozzarella di latte di bufala; i quantitativi di altri prodotti trasformati derivanti dall’utilizzo del latte bufalino; i quantitativi di latte di bufala e di semilavorati inutilizzati ed eventualmente congelati”. Non ci vuole molto per capire che un piccolo produttore, che magari confeziona ancora artigianalmente trecce e bocconcini, non si può permettere una struttura con due sale, doppi macchinari, il personale necessario per i controlli. Cosa che invece i grossi gruppi imprenditoriali a livello internazionale come Fattorie Garofalo, Mandara, Campania Felix o La Baronia possono fare senza problemi. Oltrettutto essere più o meno grandi conta pure a livello decisionale: in sede di assemblea, il voto di un socio allevatore produttore di latte che lavora da 0 a 51.500 kg di latte vale uno, quello di uno che produce oltre 257.500 kg di latte vale 4; il voto di un socio appartenente alle categoria dei caseifici o confezionatori vale 1 se produce da 0 a 200.000 kg di mozzarella, vale 4 se ne produce oltre 800.000 kg. In un mondo in cui il pesce grande mangia sempre il piccolo anche cambiando categoria animale funziona così.
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