Emergenza brucellosi. L’odissea di Raffaele, fermo da due anni. L’Asl gli impedisce di avere nuove bufale

L’allevatore: “Impossibile lavorare in Campania. Vogliono distruggere il settore”. Se la stalla è troppo vicina ad un’altra struttura dove ci sono capi infetti non può essere ripopolata: ma la regola non sembra valere per tutti

CASERTA – Nell’immaginario comune, almeno fino a poco tempo fa, a migrare, a lasciare la Campania, era l’aspirante operaio, lo studente. Partiva chi non aveva un mestiere, chi voleva formarsi ‘fuori’. L’agricoltore no. Restava. Resisteva. Chi aveva il terreno, un’azienda, riusciva a mettere su casa dove era nato. Adesso, invece, tra quelli che scappano dalla Campania ci sono pure gli allevatori. Come ha fatto Raffaele, originario dell’Agro aversano: per decenni ha lavorato nel Basso Volturno con l’azienda di famiglia. Ma pochi mesi fa ha preferito fare le valigie e trasferirsi: ha messo in piedi una nuova attività nel Basso Lazio, perché “lavorare nel casertano – ci ha raccontato – è diventato impossibile”.

Se a dire addio alla Campania adesso ci sono pure gli allevatori, anime di uno dei principali settori dell’economia locale, è perché si sta consumando l’ennesima tragedia nella tragedia. Quella che fa da contenitore è la brucellosi: a causa sua tantissimi allevamenti si sono ritrovati con le stalle vuote. Migliaia di bufale nell’ultimo decennio sono state portate al macello perché ritenute infette. Ma gli abbattimenti non hanno fermato tutti gli imprenditori agricoli: alcuni sono riusciti a ripopolare le proprie aziende. Il problema, però, è che non tutti ci sono riusciti. E veniamo all’altra tragedia. Alcuni sono andati a sbattere contro un muro di gomma. Per loro il tentativo di riprendere a lavorare ha significato imbattersi in una vera e propria odissea. Da un lato ci sono l’epidemia e il tentativo di eradicarla, con metodi che buona parte della categoria ritiene non risolutivi. Dall’altro il Dipartimento di prevenzione del servizio veterinario e i suoi ostacoli che, a quanto pare, ha posto soltanto ad alcuni allevatori che desideravano riprendere l’attività. E tra questi (tra gli ostacolati) c’è proprio Raffaele.
Nel novembre 2019 la sua azienda, che si trova a Cancello Arnone, a causa della brucellosi riscontrata su oltre la metà degli animali che aveva, venne raggiunta da un’ordinanza di abbattimento totale. Ha dovuto dire addio complessivamente ad oltre 400 bufale (e di quelle circa 100 non erano state testate). Ad inizio dicembre dello stesso anno, seguendo il protocollo, aveva disinfettato i locali e ad aprile 2020 (dopo 4 mesi) avrebbe già potuto portare in azienda i nuovi capi. Ma gli ispettori dell’Asl si presentarono soltanto a giugno per verificare se ci fossero o meno le condizioni per dare il via al ripopolamento. In quel periodo però in un’azienda vicina, di proprietà di un suo congiunto, iniziarono a comparire i primi casi di positività alla Brucella di svariate bufale. E a causa di quella vicinanza, nonostante la rete montata, il muro in cemento e tutti gli altri accorgimenti presi (che prescrive l’Asl per consentire di riprendere l’attività in sicurezza), il Dipartimento di prevenzione del Servizio veterinario – Sanità animale gli disse che non poteva far entrare nuove bufale nella sua azienda. “Mi spiegarono che dovevo spostare la stalla a 200 metri”, ci ha raccontato Raffaele.

Il problema è che ad altri allevatori, che hanno nelle vicinanze aziende dove si sono riscontrati casi di brucellosi, non è stato detto no al ripopolamento. Hanno avuto via libera. Si trovavano (si trovano) nelle stesse condizioni di Raffaele ma hanno potuto introdurre animali nelle proprie stalle.

La decisione presa dal Dipartimento di prevenzione nei confronti di Raffaele, ha messo nero su bianco in una nota il suo legale, l’avvocato Matteo Mirra, è “pretestuosa” e viola “il principio di parità di trattamento tra soggetti in quanto le regole applicate per lui non vengono applicate ad altre aziende”. E nel documento ha fatto esempi concreti: ha indicato chi ha avuto l’ok al ripopolamento pur trovandosi a distanze irrisorie da realtà imprenditoriali dove è stata riscontrata brucellosi e i cui titolari hanno presentato ricorso al Tar contro gli abbattimenti disposti dall’Asl. In un caso, a Grazzanise, ci sono solo 16 metri di distanza tra un’azienda dove sono stati accertati 35 animali infetti e quella dove il titolare ha avuto l’ok ad introdurre nuovi animali. Sono state documentate situazioni simili pure a Castelvolturno e a Santa Maria La Fossa. L’avvocato ha fatto sapere che se si continuerà a dare diniego alla richiesta di ripopolamento di Raffaele interesserà della vicenda l’autorità giudiziaria perché, a suo dire, in questa scelta “ravvisa violazioni di carattere penale”. “Adesso sto sopravvivendo – ci ha raccontato Raffaele -.Ho dovuto lasciare il mio terreno, la mia azienda e spostarmi fuori regione, dove ci sono altre regole per affrontare la brucellosi. Preferisco pagare l’affitto di un capannone e ricominciare da zero. Le difficoltà economiche ci sono – ha concluso Raffaele -. Ci sono le rate da pagare per i mezzi agricoli, il mutuo della casa. In Campania non si vuole eradicare la brucellosi. Vogliono distruggere il settore agricolo”.

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