Emergenza, sanità pubblica nel mirino

Clemente: “Dietro il flop dei concorsi una strategia per avvantaggiare il settore privato”

NAPOLI – Il recente flop dei concorsi per medici di pronto soccorso negli ospedali napoletani Cardarelli e San Giovanni Bosco era facilmente prevedibile: c’è una strategia precisa per ridimensionare la sanità pubblica e avvantaggiare il privato. Lo dichiara Fedele Clemente, presidente nazionale onorario della SIS 118 (Società Italiana Sistema 118), già direttore del sistema di emergenza territoriale 118 del Molise e direttore del dipartimento di Emergenza dell’ospedale “A. Cardarelli” di Campobasso. “Cronache” ha raggiunto Clemente durante i lavori del XXIV congresso nazionale Giec (Gruppo di intervento emergenze cardiologiche), intitolato “Come ripartire nella lotta alla morte improvvisa cardiaca dopo la pandemia”. L’evento, al quale Clemente partecipa in qualità di relatore, è iniziato ieri nell’aula magna della facoltà di Scienze biotecnologiche alla Federico II di Napoli e si concluderà domani.

Cosa pensa del nulla di fatto ai concorsi per medici di pronto soccorso negli ospedali napoletani?

“Se me lo avessero chiesto prima, pur non essendo un vate, avrei potuto facilmente prevederlo. L’emergenza sanitaria, quella extraospedaliera (Sistema di emergenza 118) e quella ospedaliera (Pronto soccorso) sono in grande sofferenza, non solo in Campania, ma in tutt’Italia. Ovunque esistono gli stessi problemi, ma nessuna soluzione idonea viene prospettata. E’ il frutto di una strategia precisa, che ha basi logiche ben chiare: si tende a scoraggiare i medici che vorrebbero intraprendere la strada dell’emergenza, in modo da chiudere le relative strutture e deviare le risorse su altri settori, come le strutture private e le cosiddette “Case della Salute”, più appetibili per chi amministra e per chi fa politica”.

Perché avviene questo?

“È noto a tutti. Il professionista che lavora in emergenza è oltremodo sottopagato e penalizzato rispetto alle altre branche della medicina. I cui professionisti, pur non essendo remunerati meglio, non sono comunque costretti a turni massacranti h/24, che non risparmiano festivi e superfestivi. Non sono esposti ai rischi professionali e personali di chi si trova in frontiera, non trattano una mole così alta di pazienti, per lo più sconosciuti e con problematiche di tutti i tipi, ma vedono pazienti già filtrati a monte. Inoltre le altre categorie di medici possono aggiungere al proprio stipendio il ricavato dell’attività libero-professionale intra o extra-moenia, che per chi lavora nell’emergenza non è possibile esercitare. Non c’è alcun riguardo, quindi, né economico né contrattuale, per chi svolge un’attività così concretamente usurante. Ditemi, a questo punto, per quale insano motivo un giovane medico dovrebbe scegliere di lavorare nell’emergenza sanitaria. Come si fa a meravigliarsi che, in virtù di ciò, siano andate deserte oltre 400 borse di studio di specializzazione in Medicina di emergenza?”

Sta rivendicando una migliore condizione economica per il medico che lavora in emergenza?

“Certo, è un lavoro difficile e impegnativo. Merita un migliore riconoscimento economico e contrattuale rispetto agli altri settori della medicina, se si vuole che diventi attrattivo”.


Perché dice che tutto è frutto di una strategia?

“I motivi sono ben chiari. Il sistema 118 e il pronto soccorso rappresentano la modalità di accesso al sistema ospedaliero pubblico che non si vuole alimentare, in modo da poterne decretare, fra qualche tempo, la chiusura definitiva. Il sistema sanitario pubblico italiano, che finora era portato ad esempio in Europa, oggi riceve finanziamenti più bassi rispetto a tutti gli altri Paesi membri”.

Lei descrive un quadro sconsolante…

“Sì, e credo che il processo sia irreversibile. Non a caso, quando si parla di difficoltà del settore dell’emergenza, saltano fuori discorsi fuorvianti su un inutile potenziamento delle cosiddette Case della salute, che nulla hanno a che vedere con il problema reale e che non possono risolverlo. E chi ne paga le conseguenze è l’ignaro cittadino, che addirittura viene colpevolizzato per l’uso dei servizi di emergenza. Mi si deve spiegare: chi chiamerebbe il 118 o si recherebbe in Pronto soccorso se stesse bene? E invece i cittadini, secondo quanto ha deciso lo Stato, non possono usufruire di questi servizi, pur versando i relativi contributi, pur essendo questo un loro sacrosanto diritto e una estrema necessità di salute. Insomma, i cittadini, dopo aver versato i contributi per la sanità, dopo il pagamento dell’iniquo ticket sulle prestazioni, ora dovranno vedersi privati anche della possibilità di essere adeguatamente curati in caso di emergenza”.

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