NAPOLI (Francesco Campanile) – Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si guarda intorno, cerca nuovi alleati e li trova. Ha così dimostrato di non aver bisogno degli Stati Uniti. La Turchia è un “paese sovrano” ed il presidente intende far valere quella sovranità nei giochi politici e di diplomazia internazionale.
L’avvertimento era già arrivato nei giorni scorsi, quando il New York Times, in un suo editoriale, riportava le parole del presidente riferite ai nuovi dazi imposti da Trump
“Le azioni unilaterali degli Usa nei confronti della Turchia serviranno solo a minare gli interessi e la sicurezza americani. Prima che sia troppo tardi, Washington deve rinunciare all’idea che le nostre relazioni siano asimmetriche, e accettare il fatto che la Turchia ha alternative”.
Le alternative sono arrivate oggi. Dopo ben tre ore e mezza di colloquio ad Ankara, l’Emiro del Qatar, lo sceicco Al Thani, ha deciso che il suo paese investirà ben 13 miliardi di euro in Turchia. Non c’è bisogno neppure di dire quanto questa notizia abbia profondamente aiutato e, seppur minimamente, risollevato la crisi economica che sta vivendo il paese turco. In men che non si dica, il valore della lira è risalito del 6%, dopo le pesanti batoste dei giorni scorsi.
Se Erdogan decide di chiudere con Trump, è anche vero che inizia a tendere la mano all’Europa
Il tutto è iniziato col “no” alla scarcerazione del pastore statunitense Andrew Brunson, accusato di spionaggio per conto dei curdi. E’ stato lo stesso tribunale turco a respingere la richiesta di scarcerazione, nonostante le pressioni del governo statunitense. Per questo, Donald Trump avrebbe annunciato di voler raddoppiare i dazi sull’acciaio e sull’alluminio provenienti dalla Turchia. Tale azione, però, è stata presa come una vera e propria minaccia dal presidente Erdogan, che si è sentito colpito nell’orgoglio. E così, quasi come se volesse prendersi gioco degli Stati Uniti, una scarcerazione è avvenuta, ma non quella del pastore Brunson.
Dopo 14 mesi di prigionia, infatti, è arrivata, inattesa, la liberazione di Taner Kilic, presidente onorario di Amnesty in Turchia, incarcerato lo scorso anno con l’accusa di far parte di una rete Imam considerata da Ankara come il “mandante” del tentato golpe del 2016. Una scarcerazione, quindi, che sa di mano tesa all’Europa e di pugno di ferro con gli Stati Uniti.