Etiopia, la strage dei testimoni di pace e le ultime disperate manovre del pilota

TOPSHOT - Rescue team walk past collected bodies in bags at the crash site of Ethiopia Airlines near Bishoftu, a town some 60 kilometres southeast of Addis Ababa, Ethiopia, on March 10, 2019. - An Ethiopian Airlines Boeing 737 crashed on March 10 morning en route from Addis Ababa to Nairobi with 149 passengers and eight crew believed to be on board, Ethiopian Airlines said. (Photo by Michael TEWELDE / AFP)

ADDIS ABEBA – Speranze, voglia di dare una mano, di cambiare il mondo cominciando a migliorare la vita degli ultimi. Tutto finito in sei, maledetti, minuti. Quella del volo Addis Abeba-Nairobi è la strage dei testimoni di pace. Lo schianto non ha lasciato scampo alle 157 persone a bordo. Tra loro otto italiani.

Trentacinque nazionalità

Sul velivolo c’erano passeggeri di 35 diverse nazionalità fornita direttamente dalla compagnia aerea: 32 Kenya, 18 Canada, 9 Etiopia, 8 Cina, 8 Italia, 8 Usa, 7 Francia, 7 Gran Bretagna, 6 Egitto, 5 Germania, 4 India, 4 Slovacchia, 3 Austria, 3 Russia, 3 Svezia, 2 Spagna, 2 Israele, 2 Marocco, 2 Polonia, 1 Belgio, 1 Gibuti, 1 Indonesia, 1 Irlanda, 1 Mozambico, 1 Norvegia, 1 Ruanda, 1 Arabia Saudita, 1 Sudan, 1 Somalia, 1 Serbia, 1 Togo, 1 Uganda, 1 Yemen, 1 Nepal, 1 Nigeria, 1 passaporto Onu.

Gli ultimi drammatici minuti del pilota

Dalle prime ricostruzioni emerge un dettaglio terribile. Il pilota si è subito reso conto, dopo il decollo, che qualcosa non andava. Computer di bordo in tilt. Immediata segnalazione alla torre di controllo: “Chiedo di tornare indietro”. Permesso accordato. Ma non c’è stato modo. La disperata lotta del pilota del velivolo si è conclusa con uno schianto. E la morte di tutti coloro che appena sei minuti prima avevano vissuto il momento del decollo. Col consueto carico di pensieri e speranze. Soprattutto speranze visto che tanti di loro erano diretti in Kenya per dare una mano. Per cambiare il mondo.

I testimoni di pace italiani

Su quel volo c’erano otto italiani. C’era Sebastiano Tusa, 66 anni, noto archeologo, soprintendente del Mare in Sicilia e assessore regionale ai Beni Culturali. Insegnava Paleontologia all’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. A portare speranza in Kenya anche Matteo Ravasio, Carlo Spini e Gabriella Vigiani della Onlus bergamasca ‘Africa Tremila’. Con loro Paolo Dieci, romano, presidente di Link 2007, una rete delle più importanti Ong italiane. Lascia tre figli. E tra i testimoni di pace anche Maria Pilar Buzzetti e Virginia Chimenti, impegnate per il World food program dell’Onu, e Rosemary Mumbi. Giovani, entusiaste, competenti, coraggiose. La speranza che portavano in Africa sopravviverà anche alla tragedia.

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