ADDIS ABEBA – Speranze, voglia di dare una mano, di cambiare il mondo cominciando a migliorare la vita degli ultimi. Tutto finito in sei, maledetti, minuti. Quella del volo Addis Abeba-Nairobi è la strage dei testimoni di pace. Lo schianto non ha lasciato scampo alle 157 persone a bordo. Tra loro otto italiani.
Trentacinque nazionalità
Sul velivolo c’erano passeggeri di 35 diverse nazionalità fornita direttamente dalla compagnia aerea: 32 Kenya, 18 Canada, 9 Etiopia, 8 Cina, 8 Italia, 8 Usa, 7 Francia, 7 Gran Bretagna, 6 Egitto, 5 Germania, 4 India, 4 Slovacchia, 3 Austria, 3 Russia, 3 Svezia, 2 Spagna, 2 Israele, 2 Marocco, 2 Polonia, 1 Belgio, 1 Gibuti, 1 Indonesia, 1 Irlanda, 1 Mozambico, 1 Norvegia, 1 Ruanda, 1 Arabia Saudita, 1 Sudan, 1 Somalia, 1 Serbia, 1 Togo, 1 Uganda, 1 Yemen, 1 Nepal, 1 Nigeria, 1 passaporto Onu.
Gli ultimi drammatici minuti del pilota
Dalle prime ricostruzioni emerge un dettaglio terribile. Il pilota si è subito reso conto, dopo il decollo, che qualcosa non andava. Computer di bordo in tilt. Immediata segnalazione alla torre di controllo: “Chiedo di tornare indietro”. Permesso accordato. Ma non c’è stato modo. La disperata lotta del pilota del velivolo si è conclusa con uno schianto. E la morte di tutti coloro che appena sei minuti prima avevano vissuto il momento del decollo. Col consueto carico di pensieri e speranze. Soprattutto speranze visto che tanti di loro erano diretti in Kenya per dare una mano. Per cambiare il mondo.
I testimoni di pace italiani
Su quel volo c’erano otto italiani. C’era Sebastiano Tusa, 66 anni, noto archeologo, soprintendente del Mare in Sicilia e assessore regionale ai Beni Culturali. Insegnava Paleontologia all’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. A portare speranza in Kenya anche Matteo Ravasio, Carlo Spini e Gabriella Vigiani della Onlus bergamasca ‘Africa Tremila’. Con loro Paolo Dieci, romano, presidente di Link 2007, una rete delle più importanti Ong italiane. Lascia tre figli. E tra i testimoni di pace anche Maria Pilar Buzzetti e Virginia Chimenti, impegnate per il World food program dell’Onu, e Rosemary Mumbi. Giovani, entusiaste, competenti, coraggiose. La speranza che portavano in Africa sopravviverà anche alla tragedia.