Europa, unità va cercando

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

“I fatti sono opinioni testarde”, recita un famoso aforisma, e come tali non sono controvertibili dal vento delle parole. I fatti di queste drammatiche ore lo sono ancora di più e non si prestano ad altre interpretazioni. L’Europa non può più essere solo  il luogo in cui le politiche economiche, la moneta unica, i commerci, le politiche  finanziarie, il debito statale ed il pareggio dei bilanci statali, si sciorinano secondo i principi incartati nel trattato di Maastricht. Ci si può anche aggiungere un vasta legislazione concernente le più svariate materie: dalla libera circolazione di persone e merci, alle infrastrutture, dai corsi di lauree all’esercizio delle professioni, dalla ricerca scientifica fino alla produzione ed al controllo dei farmaci, oltre ad una densa produzione di norme che disciplinano finanche le dimensioni dei servizi igienici. Insomma: aspetti che, pur importanti nello specifico, non colgono  l’essenziale affinché il progetto unitario tra gli stati membri, possa procedere in senso politico e di una difesa comune. Passati ormai più di sessant’anni dai trattati di Roma che, nel 1957, istituirono la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom), per decenni si è cincischiato intorno ad aspetti non decisivi per un’effettiva unità del Vecchio Continente. Innanzi alla politica aggressiva di Vladimir Putin, alle minacce paranoiche di attivare finanche gli arsenali nucleari, non è più dilazionabile un progetto per la difesa comune e compatta degli Stati membri. Uno sforzo che paradossalmente potrebbe portare ad una razionalizzazione della spesa in armamenti che oggi è costituita dalla sommatoria dei costi sostenuti dai singoli Paesi per munirsi del minimo indispensabile. Un esercito europeo che possa fare della Nato un ulteriore e più valido deterrente, ma che, al contempo, crei indipendenza dalle strategie geo-politiche militari degli Stati Uniti. Se ciascuna Nazione cederà alla Ue parte della propria sovranità in materia, la politica estera europea ed il peso stesso dell’Unione sullo scenario mondiale non potrà che accrescersi. I vantaggi anche sul piano economico sarebbero cospicui atteso che viviamo in un’era in cui i commerci ed il reperimento delle materie prime richiedono una presenza militare organica anche nei vari teatri dove si decidono le sorti delle nazioni. Chiamatelo nuovo colonialismo, chiamatela vecchia politica “cannoniera” che ci riporta indietro a quella messa in atto dalle potenze militari agli inizi del secolo scorso, ma la realtà è quella che è un po’ ovunque, soprattutto laddove esistono ricchezze naturali ed energetiche da poter utilizzare. Continuare con la manfrina del pacifismo ad oltranza, spesso politicizzato, viziato ed orientato in un solo verso politico, quello anti americano, ci lascia in balìa delle decisioni di coloro che, come diceva Theodoro Roosevelt, hanno in mano il randello più lungo. Insomma: se vogliamo contare nel mondo, avendone tutte le capacità, le risorse e le opportunità, bisogna muoversi con adeguatezza di mezzi senza dover dipendere per forza da un’alleanza, quella atlantica, che comunque la si voglia vedere, finisce per essere legata alla politica “born in Usa”. Se le scelte economiche camminano (spesso) accompagnate dal supporto, anche potenziale, della capacità di offrire protezione militare ai paesi in via di sviluppo, oppure porre termine a conflitti etnici e religiosi, non possiamo non adeguarci. Un esercito comune vale quanto la moneta unica in campo economico e commerciale per tutti gli stati d’Europa. Lo stesso dicasi per il sostegno alla politica estera che dovrebbe poter contare su qualcosa di più della forza che possiede un singolo profeta disarmato. In questa ottica sorge anche una riflessione che riguarda l’approvvigionamento delle fonti energetiche, il mantenimento del basso costo dell’energia come elemento base per contenere i prezzi della produzione industriale e quelle manifatturiera, quest’ultima essenziale per un paese come l’Italia. Anche costituire una rete di distribuzione unica in tutta Europa porterebbe sensibili risparmi senza le mille accise che gravano sui combustibili. In passato, nel Belpaese, è stato dato ampio spazio (anche per una smania che sa di provincialismo) alla politica dei Verdi che spesso si sono rivelati come i meloni: verdi fuori e rossi dentro. Un movimento ecologista, quello nostrano, che è stata un po’ la costola della sinistra negli anni Ottanta del ‘900 e come tale ha esacerbato critiche e richieste alle classi di governo dell’epoca. La pretestuosa e sconclusionata protesta del M5S ha quella origine e tutti i “no” che ne sono venuti sono figli di quella stessa intransigenza. Aver rinunciato all’energia atomica, che in qualche modo continuiamo a pagare nella bolletta elettrica, fu un errore al quale occorre porre rimedio. Oggi riapriamo le centrali a carbone: un vergognoso ritorno al passato remoto. Europa, unità va cercando. 

*già parlamentare

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