Ho avuto modo conoscere, come deputato e senatore, Domenico Scilipoti Isgrò e ne ho apprezzato la mitezza del carattere e la gentilezza del tratto, anche quando questi è stato sbattuto, come un mostro vivente, sulle pagine dei giornali di sinistra e poi infilato nel tritacarne dei commenti dei moralisti a senso unico. Istruito quanto basta per reggere un discorso che non oltraggi né la grammatica, né il buon senso, Scilipoti è un medico siciliano. Si interessa di medicina olistica. Ciò nonostante fu impiccato al pennone più alto di Montecitorio, esposto al pubblico ludibrio come il nuovo Giuda Iscariota, etichettato come voltagabbana per antonomasia e traditore per eccellenza, fatto segno di ogni ingiuria e di ogni sberleffo nel momento in cui, insieme con Antonio Razzi, abbandonò le file del gruppo parlamentare dell’Italia dei Valori guidato dal campione dei moralisti (in quel particolare frangente storico e politico del nostro Paese): l’ex magistrato Antonio Di Pietro. L’accusa mossa contro i due fuoriusciti fu quella di essersi venduti a Silvio Berlusconi in cambio di una futura poltrona parlamentare nelle file del Popolo delle Libertà e di altre inconfessate, ancorché mai provate, prebende e regalie. In verità la campagna di denigrazione nei loro confronti andò ben oltre le contingenze politiche, ovvero del cambio di casacca, che nelle aule del Parlamento non è fatto raro o desueto. In quella legislatura, infatti, altri onorevoli avevano cambiato partito, anche a vantaggio della sinistra senza che però verso costoro si fosse scatenata alcuna caccia all’uomo o perpetua gogna mediatica. Erano quelli i tempi in cui pur di denigrare il Cavaliere, uscito più volte vincitore dalle urne, tutto poteva essere utilizzato impunemente dai vari detrattori in servizio permanente effettivo. Quelli, per essere chiari, che si sarebbero tagliati i “preferiti” pur di vedere in galera l’odioso leader di Forza Italia. Per realizzare quello scopo furono stravolte tutte le regole deontologiche della politica e, laddove possibile, i regolamenti parlamentari, facendo precipitare il dibattito in un perpetuo linciaggio del capo della coalizione di centrodestra ritrovatosi, di punto in bianco, preso nella morsa costituita dai magistrati politicizzati e dai numerosi processi intentati contro di lui, con la complicità del vasto fronte parlamentare dotato di ampie propaggini nelle redazioni dei giornali e delle emittenti televisive. La diaspora di Scilipoti e Razzi fu presa come prova del regime di corruttela instaurato dal plutocrate meneghino per accaparrarsi, con mezzi illeciti, un ulteriore sostegno parlamentare. In quel clima d’odio e di acrimonia, tutto veniva utilizzato senza ritegno come un’arma contro il “tiranno” che presiedeva il governo. La campagna di denigrazione durò a lungo determinando discussioni e scandali senza fine. Trattati alla stregua di due malfattori, sia Razzi che Scilipoti furono additati al popolo sovrano come campioni del trasformismo prezzolato e poco importava che la loro fosse stata un’operazione frequente in Parlamento, legittima se è vero che senatori e deputati rispondono, per dettato costituzionale, alla Nazione e non hanno vincoli di parte o di partito nell’esprimere il proprio voto. In questo caso furono sprecati una montagna di carte e di fiumi di inchiostro per descrivere l’esistenza di un clima da basso impero nel quale sguazzava l’esecutivo Berlusconi (con la sua prevalente logica “commerciale”). Non furono considerati traditori, invece, i parlamentari che seguirono Gianfranco Fini quando questi, dopo lo scontro con il Cavaliere, mollò Alleanza nazionale e la coalizione di centrodestra. Non furono considerati traditori in analoghe circostanze, i parlamentari che, con Angelino Alfano, rimasero al governo e sulle poltrone ministeriali per sostenere il governo Letta che non aveva i numeri per una maggioranza in Senato. Fu in quella occasione che il senatore Scilipoti si mise a girare per l’emiciclo di Palazzo Madama con un cartello di denuncia di quell’operazione di potere fatta da altri voltagabbana: mi fece tenerezza quel giorno, non certo pena, perché rincorreva una postuma riabilitazione nel mentre i censori ed i moralisti di prima tacevano ed incassavano i voti di parlamentari eletti sull’altro versante del fronte. Non che vada meglio oggi, intendiamoci!! Mica, infatti, abbiamo finito di registrare le transumanze politiche? O vogliamo dimenticare il recente varo di due governi di segno politico diametralmente opposto, entrambi guidati da Giuseppe Conte (uno con la Lega, l’altro col Pd)? E che dire dell’ammucchiata del governo tecnico guidato da Mario Draghi? Innanzi poi all’implosione ed ai plurimi cambi di casacca dei Grillini per questioni di potere, Scilipoti assurge addirittura ad una dimensione nuova e certamente più corretta di questi ex moralisti a cinque stelle. Per questo tra Di Maio e Conte dico: evviva Scilipoti!!