Un sistema sanitario in affanno davanti all’emergenza. A parlare con ‘Cronache’ di quanto sta accadendo è Fedele Clemente (nella foto), chirurgo oncologo, past-president della Sis118, già direttore del Set-118 Molise nonché direttore Dea di II livello dell’ospedale “Cardarelli” di Campobasso.
Il capo della Protezione civile e quello dell’Istituto Superiore della Sanità hanno detto che questa sarà una settimana decisiva per capire se davvero la diffusione del contagio sta rallentando. Quanto durerà questa emergenza?
Avere un cauto ottimismo è legittimo ed è giustificabile per il fatto che l’incremento costante dei pazienti ammalati di Covid-19, riscontrato fino a non più di uno o due giorni fa, non si è verificato nella stessa misura negli ultimissimi giorni. Certo, non è possibile contare su dati puntuali di tipo statistico-epidemiologico in quanto la mancata esecuzione a tappeto di tamponi per la diagnosi di infezione da coronavirus non permette la conoscenza della reale dimensione del problema. Ciò detto, per esperienza personale, mi sento di affermare che, se questa settimana si conclude senza ulteriore incremento dei malati da coronavirus, può diventare concreta l’ipotesi di una regressione della diffusione del contagio, sempre ché per l’intero prossimo mese di aprile si mantengano le stesse misure di restrizioni adottate finora.
L’emergenza in corso ha messo a dura prova per il sistema sanitario nazionale da Nord a Sud. C’era da aspettarselo?
Non dico che me lo aspettassi, ma certamente la decimazione che ha avuto il Servizio Sanitario pubblico negli ultimi anni lasciava prevedere questa o altre analoghe possibilità. È un peccato dover constatare che quello che era considerato uno dei migliori sistemi sanitari europei e forse mondiali, abbia dovuto limitare le sue potenzialità a causa della esagerata politicizzazione della sua gestione. Solo per citare un dato, ricordo che la Germania ha un numero di posti letto superiore alla percentuale dell’8 per mille abitanti e l’Italia poco più del 3 per mille.
I sindacati di medici e infermieri dicono che il personale degli ospedali è in pericolo, a cominciare dalla dotazione di dispositivi di protezione e dal fatto che non si fanno i tamponi a chi ha avuto contatti a rischio. Qual è la priorità? Assicurare la presenza di medici e infermieri negli ospedali o evitare di renderli veicolo di contagio?
Concordo assolutamente sulla necessità di fare i test diagnostici per l’infezione da coronavirus a tutto il personale sanitario, sia a sua tutela, ma ancor più perché possono diventare un’involontaria fonte di diffusione del contagio. Relativamente al problema dell’insufficienza del numero di dispositivi di protezione individuale, devo ancora una volta rilevare la miopia di chi gestisce. Queste dotazioni vanno acquisite in “tempo di pace”, come sanno bene tutti quelli che operano in emergenza, perché queste “guerre” non ti avvertono in anticipo e bisogna essere preparati.
Un medico campano, Paolo Ascierto, ha lanciato l’utilizzo di un farmaco contro l’artrite per attenuare le crisi respiratorie e decongestionare le terapie intensive. Ora il metodo è in via di sperimentazione. Nei giorni scorsi il professor Galli dell’ospedale Sacco di Milano ha polemizzato con lui, sostenendo che la sperimentazione del farmaco fosse cominciata prima al Nord. Cosa ne pensa?
Il dottor Paolo Ascierto è un brillante ed apprezzatissimo professionista. Il razionale per l’impiego del farmaco utilizzato per l’artrite reumatoide è assolutamente condivisibile, tanto che di fatto ha dato buoni risultati. Trovo disdicevoli, piuttosto, gli attacchi ricevuti che al contrario avevano poco di scientifico e di razionale, a mio parere solo strumentali.
Al Nord la crisi è letteralmente esplosa.
Cosa succederebbe se anche al Sud assumesse quella portata? Il sistema sanitario reggerebbe?
Non posso prevedere cosa potrebbe accadere al Sud se si avesse una situazione come quella del Nord, ma sicuramente posso dire che il Nord, in particolare la Lombardia, che vanta una “Sanità di Eccellenza” e critica quella del Sud, in questa occasione non ha dimostrato di essere all’altezza del problema, sia per quanto riguarda la diffusione del contagio, sia per le difficoltà che hanno dichiarato di avere sull’indisponibilità di attrezzature specifiche e di letti per il ricovero. Leggere le dichiarazioni pubbliche di Responsabili del Servizio di Emergenza Territoriale 118 con le quali si ammette di avere limiti operativi, non depone bene per chi pretende di imporre il proprio modello al resto d’Italia. Probabilmente, bisognerebbe che qualcuno riconoscesse che l’eccesso di privatizzazione, realizzato a discapito della sanità pubblica, non produce effetti positivi sull’assistenza.