MILANO – Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, si è auto denunciato ai carabinieri di Milano per l’aiuto dato a Elena, la donna malata oncologica terminale morta ieri in Svizzera grazie al suicidio assistito. Nella stessa caserma dove 5 anni fa aveva raccontato di aver aiutato a morire Fabiano Antoniani, Dj Fabo, l’attivista ha spiegato il suo operato a favore di Elena. Per lui ora si aprirà un processo, con gli atti che arriveranno a stretto giro sul tavolo della Procura milanese.
Come 5 anni fa Cappato è pronto ad andare fino in fondo per garantire ai malati terminali, che non hanno il requisito del sostegno vitale, di rientrare nel diritto di scelta aperto proprio da quella sentenza Dj Fabo/Cappato. L’autodenuncia di allora, ricorda l’attivista, ha fatto partire “un percorso giudiziario che ha portato fino alla legalizzazione dell’aiuto al suicidio assistito in Italia da parte della Corte Costituzionale ma solo per un certo tipo di malati”.
Oggi, ai militari Cappato ha raccontato come ha aiutato Elena, “alla luce del sole” e “assumendomi la totale responsabilità” e ha precisato che “per quanto riguarda le prossime persone che ce lo chiederanno, se sarà necessario e saremo nelle condizioni di farlo, le aiuteremo. Sarà la giustizia italiana a dire se sono reati o se c’è una discriminazione insopportabile, come noi riteniamo, tra malati che soffrono di una sofferenza insopportabile, all’interno di una patologia irreversibile e che sono lucidi ma che non sono attaccati a una macchina, e i malati invece che lo sono”.
Il nodo della vicenda di Elena è tutto lì: non avere bisogno di un sostegno vitale, una delle condizioni richieste dalla sentenza della Corte Costituzionale per chiedere il suicidio assistito in Italia. Non avendo tale requisito, Elena avrebbe dovuto solo attendere l’evoluzione della malattia, fino alla morte, attraversando l’inferno, come ha ricordato lei stessa nel suo video di addio.
Cappato ha anche richiamato la politica alle sue responsabilità. “Il Parlamento avrebbe potuto subentrare in questi anni, la Corte Costituzionale lo ha chiesto a più riprese ma non c’è stata alcuna risposta da parte della politica, del Parlamento, dei capi dei grandi partiti. In queste due ultime legislature parlamentari – ha ricordato – non è mai stato discussa, nemmeno per un minuto, la nostra legge di iniziativa popolare presentata 9 anni fa e ora, con lo scioglimento delle Camere è decaduta”.
Mentre la politica tace, il Paese reale va avanti e tocca, con mano, il dolore e la tragedia di una malattia terminale. “Sono oltre 50 gli italiani che ogni anno si recano in Svizzera per il suicidio assistito”, spiega a LaPresse Emilio Coveri, presidente e fondatore dell’associazione Exit-Italia, nata nel 1996 per il diritto a una morte dignitosa. “La maggior parte di loro arriva da Lombardia e Lazio – spiega Coveri – e si tratta di persone malate che scelgono la strada dell’eutanasia per porre fine alle proprie sofferenze”.
Numeri che nascondono un sommerso fatto di viaggi silenziosi, lontani dagli occhi del mondo. “Ogni settimana – ricorda ancora Coveri – riceviamo circa 90 chiamate, da persone malate di sla o altre gravi patologie, che vogliono mettere fine alle proprie sofferenze”.
Di Lorena Cacace