ROMA – Frena il Pil italiano, stretto tra l’incertezza politica e l’inasprirsi delle politiche monetarie della Bce. Per il Paese, adesso, la sfida della riduzione del debito pubblico è vitale. Sono le considerazioni del Fondo monetario internazionale sull’economia italiana. La valutazione, in generale, non è negativa, visto che dopo il crollo causato dalla pandemia, il prodotto ha registrato un forte rimbalzo, l’occupazione è in piena ripresa e le banche si sono rafforzate. Ma l’orizzonte è fosco: le sfide poste dagli effetti della guerra in Ucraina sono numerose e importanti, incidono sulle catene di fornitura globali, spingono in alto i prezzi dell’energia e l’inflazione, e aggravano la carenza di materie prime. A questo si aggiunge l’emergenza siccità che affligge il Nord del Paese e che metterà sotto pressione i prezzi del cibo, rendendo più spinosa la questione della sicurezza energetica. Sono queste riflessioni a guidare le stime del Fmi sul Pil, che passa dal 6,6% del 2021 al 3% nel 2022, con un ulteriore rallentamento allo 0,75% per il 2023. L’inflazione media annua avrà un picco del 6,7% nel 2022, per poi scendere gradualmente negli anni successivi quando, con i prezzi dell’energia in calo, dovrebbe verificarsi anche un rafforzamento della crescita, sostenuta dalla spesa pubblica nell’ambito del Pnrr. In questo scenario è essenziale che il Paese metta rapidamente a terra tutte le azioni necessarie – la razionalizzazione della spesa corrente, l’allargamento della base imponibile, il rafforzamento del rispetto delle norme fiscali, insieme alla riforma della Pa, della giustizia e sulla concorrenza – a mantenere il debito pubblico in decisa discesa. Il disavanzo italiano si attesta infatti al 5,6%, in miglioramento rispetto al 7,2% dello scorso anno, e – combinato la risalita del Pil – dovrebbe portare il livello del debito pubblico al 147,7%, cioè 6,6 punti in meno rispetto al picco del 155,3% nel 2020. Un risultato positivo, ma ancora molto lontano dal 134,1% del 2019. Nel 2023 il disavanzo dovrebbe ridursi al 3,9%, con un debito ancora in calo al 146,3%.
I tempi sono incerti, e così anche le previsioni, sottolinea il Fmi. I rischi di un ribasso potrebbero influenzare in modo significativo le prospettive e complicare il compito in capo al futuro Governo di ridurre l’indebitamento. In particolare, a rendere traballanti le capacità predittive di Washington, è la questione dell’energia: un’ulteriore impennata dei prezzi, così come il rischio pendente sulle teste degli Stati europei di uno stop completo delle importazioni di gas dalla Russia nei prossimi mesi, graverebbero in maniera significativa sulla crescita. Ugualmente, un rapido inasprimento delle condizioni finanziarie non solo peserebbe sul Pil, ma vanificherebbe gli sforzi di consolidamento fiscale. Accanto, il capitolo Pnrr: se gli investimenti e le riforme del Piano dovessero subire rallentamenti o andare incontro a difficoltà si ridurrebbe il sostegno alla domanda e, soprattutto, verrebbero meno i finanziamenti dell’Unione europea. Infine, la minaccia dell’inflazione, che se dovesse restare elevata per lungo tempo potrebbe erodere i recenti guadagni di competitività esterna. Insomma, l’alea è forte. E infatti il Fmi mette in guardia le banche: se hanno dato prova di grande resistenza di fronte allo shock pandemico, ora serve cautela e bisogna che siano pronte al verificarsi di scenari avversi. Importante quindi continuare a monitorare da vicino anche gli istituti più piccoli e più deboli, insieme ad una ristrutturazione del debito più efficiente per aiutare le imprese a evitare le difficoltà finanziarie.
di Martina Regis