Si studiano le possibilità e si avanzano le ipotesi sulla rottura della fune che domenica mattina ha fatto precipitare la cabinovia sul Monte Mottarone causando la morte di 14 persone e il grave ferimento del piccolo Eithan di soli 5 anni, unico sopravvissuto. E a cinque giorni dalla disgrazia gli inquirenti e gli esperti cercano di trovare le cause che hanno causato la rottura del cavo. Le ipotesi avanzate finora parlano di ridotta resistenza o eccessive sollecitazioni, ma si attendono gli esami diagnostici a cui la fune tranciata è stata sottoposta.
Gli esperti
Gianpaolo Rosati, docente di Tecnica delle costruzioni presso il Politecnico di Milano spiega che “a un occhio esperto la diagnostica permette di avere già un’idea chiara sulle possibili cause della rottura della fune. Dall’esame diagnostico delle estremità rotte della fune si può risalire facilmente e con ragionevole certezza a come sia avvenuta la rottura. Diagnosi di questo tipo si basano su tecniche simili a quelle utilizzate anche in campo medico, come la tomografia a raggi X, ma naturalmente è possibile sfruttarle a potenze molto più elevate fino a ottenere una capacità di visione all’interno della fune nell’ordine del millesimi di millimetro e permette in questo modo di distinguere se sono presenti, per esempio, fenomeni di ossidazione”.
Giovanni Molinari, emerito della facoltà di Ingegneria dell’Università Sapienza di Roma e membro della Commissione funicolari aeree e terrestri del ministero dei Trasporti, sostiene che “sarebbe importante sapere se la fune della funivia del Mottarone si sia rotta nel senso della lunghezza oppure all’attacco della sospensione che traina il veicolo. La fune è una società di fili sollecitati da una trazione, ma dentro la compagine ci sono altre sollecitazioni, dovute a fenomeni di attrito e flessione e che di solito generano fenomeni di fatica. Bisogna poi considerare che contrariamente alla fune portante, che è fissa, quella di trazione gira intorno alle pulegge ed è mossa dal vento perché è più sottile. Per resistere a queste sollecitazioni è un complesso di fili intorno a un’anima tessile o di plastica: questo consente le curvature intorno alle pulegge”.
Altre cause
Poi Rosati cerca di andare ulteriormente a fondo alla rottura della fune che potrebbe avvenire secondo l’esperto come “se la fine resta bloccata in qualche punto perché esce dalla sua sede. Per esempio se l’argano continua a tirarla, potrebbe romperla per trazione. Non si può escludere a priori l’evenienza che la fune venga tagliata da qualche organo meccanico”.
La confessione
E mentre le indagini fanno il loro corso, giunge la confessione di Gabriele Tadini, 64enne, ora in isolamento nel carcere di Verbania: “La funivia continuava a funzionare a singhiozzo. L’impianto idraulico dei freni d’emergenza aveva dei problemi, perdeva olio e le batterie si scaricavano continuamente. Dopo la riapertura del 26 aprile avevamo già fatto due interventi. Ma non erano stati risolutivi. La funivia continuava a funzionare a singhiozzo. Il problema si ripresentava, serviva altra manutenzione. Tenere i freni scollegati permetteva alla funivia di girare. Mai avremmo potuto immaginare che la cima traente si spezzasse. Era in buone condizioni, non presentava segni di usura. Quello che è successo è un incidente che non capita neppure una volta su un milione”. E ha concluso: “Mi sento un peso enorme sulla coscienza. Prego e faccio i conti con me stesso e faccio i conti con Dio”.