ROMA – Il 28 dicembre, in Aula alla Camera, è stata una lunga giornata di insulti, urla, lavori interrotti e minacce. Fino all’invito del presidente Roberto Fico: “Evitiamo di dare questo spettacolo“.
Una brutta pagina, come non se ne vedevano da tempo
Alla fine, però, una data per la votazione della fiducia sulla finanziaria c’è, almeno sulla carta. Si parte alle 18.30 del 29 con il voto a chiamata nominale, si va avanti fino a mezzanotte, si riprende domenica 30 alle 9 del mattino.
Il testo è approdato a Montecitorio dopo una seconda lettura al Senato che praticamente non c’è stata, perché il maxiemendamento, che modificava una parte importante della legge di Bilancio, è arrivato a Palazzo Madama un paio di ore prima del voto, nella notte tra il 23 e il 24 dicembre.
Nessun mandato al relatore, nessun voto e nessuna discussione
Alla Camera, in Aula, si è parlato quasi solo di questo e i toni si sono alzati al punto che la seduta è stata sospesa. “Così non si può continuare“, ha detto Fico interrompendo i lavori e convocando una capigruppo che l’opposizione ha abbandonato in protesta contro il comportamento del presidente, colpevole di “non aver fatto votare la richiesta di sospensione dell’Aula”.
Sembrava impossibile, ma dopo la situazione è ancora peggiorata, tanto che sono fisicamente volati i fascicoli tra i banchi (e sulle teste) dei ministri. A farne le spese è stato il sottosegretario all’Economia, Massimo Garavaglia, centrato in fronte da un plico della manovra lanciato dal deputato Pd Emanuele Fiano, che poi si è scusato spiegando che il suo era un gesto di protesta, ma non era sua intenzione colpire nessuno.
Scintille anche tra il deputato del Pd Luigi Marattin e il collega leghista Nicola Molteni, sottosegretario all’interno, durante l’intervento di Andreina Comaroli, relatrice del Carroccio.
“Alcuni sottosegretari si dimenticano che rappresentano il governo e si trasformano in capi ultras. E la presidenza glielo concede“, ha tuonato il Dem Enrico Borghi. “Molteni è anche un deputato“, lo ha difeso Fico.
Proposta respinta al mittente con 153 voti di scarto
Inutile è stata anche la richiesta di Graziano Delrio di mettere ai voti un rinvio del testo in commissione, perché “il governo ha umiliato il Parlamento intero”. Fino all’intervento del ministro dei Rapporti col Parlamento, Riccardo Fraccaro, che ha chiesto di porre la questione di fiducia al testo approvato al Senato.
Nel mirino delle opposizioni, per tutta la giornata, c’è stato il presidente della Camera, responsabile – agli occhi della minoranza – di aver fatto gli interessi del governo e non del Parlamento.
Per difendersi, Fico ha citato diversi precedenti in cui il relatore ha avuto mandato senza votazione degli emendamenti, ma all’opposizione non è bastato. Un po’ lo sa anche lui che non si dovrebbe agire così: “I presidenti della Camera e del Senato non auspicano mai una situazione di questo tipo, questo è chiaro, per me non è un modo giusto di procedere, non c’è dubbio. Però non è mio compito parlare del governo, dell’Europa eccetera. E’ mio compito parlare del Parlamento. Capisco la discussione sulla forzatura dei tempi“, si è giustificato.
Anche il premier Giuseppe Conte ha dovuto dare spiegazioni, durante la conferenza stampa di fine anno, sulla situazione che si è creata in Senato. “Non ideale“, l’ha definita. “Confidiamo che non ce ne siano più, che le riforme costituzionali nascano nel Parlamento, in questo caso, purtroppo, i tempi, la necessità di evitare un’infrazione, che è stato un grande risultato, ci ha imposto questo arrivo in zona Cesarini“. Però ha giurato: “Non c’è stata alcuna deliberata volontà da parte del governo di comprimere i tempi di vaglio parlamentare“.
Garavaglia ha cercato di tranquillizzare l’Aula
Le questioni più spinose, il reddito di cittadinanza e quota 100, sono contenute in un decreto legge che arriverà in Parlamento i primi giorni di gennaio: “C’è tempo per discuterne ampiamente“. (LaPresse)