di Samuele Ciambriello*
Ho sempre ritenuto importante riconsiderare il tema della pena e in questa riconsiderazione non ha un ruolo marginale la giustizia riparativa, che a mio avviso potrebbe essere un buon rimedio per superare tutte le inadeguatezze e i limiti evidente del sistema tradizionale punitivo. Dare un ruolo alla giustizia riparativa rappresenta certamente un atto di civiltà. Ma si tratta di una sfida importante, che credo debba essere affrontata con estrema cautela: sarebbe sbagliato guardare alla mediazione penale con scetticismo, ma sarebbe altrettanto sbagliato guardarla con assoluta fiducia.
La giustizia riparativa è ai primi passi nel sistema processuale italiano, mentre ha già una lunga e positiva tradizione in numerosi paesi europei. Il nostro ordinamento – lo sappiamo tutti – non ha ancora deciso lo spazio da attribuire alla giustizia riparativa, ma la legge delega, in via di approvazione, della riforma della ministra della giustizia, Marta Cartabia, introduce e norma questa realtà. Una realtà che comunque in Italia ha una sua esperienza e anche lunga: pensiamo all’ambito minorile, dove in moltissimi casi si rinvia all’ufficio di mediazione.
La delicatezza della materia e la rilevanza dei diritti in gioco richiede la predisposizione quanto prima di un’apposita normativa, senza trasformarla in motivo di scontro politico, coniugando così populismo politico e populismo penale. Allora, lo scenario che si sta delineando in materia di mediazione penale e giustizia riparativa ci impone di farci trovare pronti. E quando dico ‘farci trovare pronti’ intendo chiaramente formare mediatori penali che sappiano accogliere con professionalità e preparazione quella che si presenta, come ho detto prima, proprio come una sfida.
Per questo motivo, quando mi è stato proposto di patrocinare i due corsi di formazione, che verranno erogati dall’Associazione italiana mediatori penali e dall’Associazione italiana risoluzione alternativa conflitti (Ai.Me.Pe. e AIRAC), ho detto subito di sì.La presa in carico dei conflitti che hanno a che fare con la commissione di un reato richiede, da parte dei mediatori, certamente profonde capacità di gestire le emozioni e i sentimenti – a volte anche assai distruttivi – sia espressi dall’autore del reato che dalla vittima. Lo spirito della mediazione penale – e parlo non da mediatore, ma da chi si augura che si realizzi proprio in questi termini – va ricercato nel fatto che ad ogni gesto incapace di essere comunicato o che provoca sofferenza in altri può fare da contrappunto un luogo, un momento preciso in cui tutto quel dolore può essere detto e al contempo ascoltato.
Io ritengo che il mediatore debba essere dipinto come colui che facilita un percorso comunicativo assai difficile e faticoso, ma anche come colui che catalizza emozioni e osserva. La mediazione penale può costituire quello spazio e quello strumento per non negare il conflitto, il dolore, la sofferenza, ma per affrontarlo in prima persona con coloro che vi sono coinvolti. Ci sarà ancora molto altro sul mediatore, ma a me già questo basta per affermare con sicurezza che in questo ambito è assolutamente fondamentale una approfondita e continua opera di formazione.
Ci sono Paesi in Europa che hanno persino stilato un Codice deontologico del mediatore. Noi chiaramente non siamo tra questi Paesi, ma alcuni requisitivi valevoli per tutti possiamo trarli da quella importante Raccomandazione del Consiglio d’Europa, che purtroppo in Italia è stata ignorata per anni, se non applicata a quella piccola nicchia di reati, cioè quelli contro in minori. Appare improbabile che la giustizia riparativa possa essere concepita come un’alternativa al sistema punitivo, ma la si può pensare come una forma integrativa al processo penale. Grazie alla riforma Cartabia, nel Codice, verrà inserita la definizione di “vittima”.
Attualmente si parla di “persona offesa” con un ruolo da non protagonista nel nostro sistema sanzionatorio e quindi anche durante il processo. La giustizia riparativa, sino ad oggi una nicchia nascosta nel nostro sistema di giustizia penale, mette in campo gli interessi in gioco: responsabile del reato, persona offesa e collettività, con evidenti benefici. Tutto questo viene già contemplato, per la prima volta, dalla direttiva europea dell’ottobre 2012. Una giustizia, quella riparativa, che non è buonismo, né perdonismo, ma una giustizia che si propone come ago per ricucire quello che si è rotto, un modo per prendersi cura di una relazione rotta, anche con violenza. Allora, la mediazione è un incontro di storie di vita, di narrazioni, di responsabilità che scompongono per ricomporre. E la comunità civile, in primis il volontariato, può essere un facilitatore di contatto, del dialogo, dell’inclusione sociale per i diversamente liberi.
*Garante delle persone sottoposte a misure restrittive
della libertà personale della Regione Campania
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