Gli Schiavone rialzano la testa. Un commando armato assalta a Grazzanise l’azienda confiscata a Sandokan

Incappucciati e vestiti di nero hanno tentato di danneggiare la struttura che ospiterà i laboratori didattici dell’istituto Falco

Gli Schiavone rialzano la testa
Gli Schiavone rialzano la testa

CASAL DI PRINCIPE – Incappucciati, vestiti di nero e armati hanno assaltato il bene confiscato al capoclan Francesco Sandokan Schiavone. Ieri, poco dopo le 13 e 30, a bordo di un’Alfa Romeo, un commando ha raggiunto l’ex azienda agricola del boss, situata in località Salvalunga, nella periferia di Grazzanise (a pochi passi dai territori di Casale e Villa Literno). Parcheggiata la vettura all’inizio del viale, in tre (uno impugnava una pistola) si sono diretti verso la struttura che a breve ospiterà i laboratori didattici dell’istituto tecnico Falco (il cantiere è ancora aperto).

Se in pieno giorno, sotto il sole cocente, si sono introdotti nell’area che lo Stato ha portato via al padrino dei Casalesi non è certo per fare una visita di piacere, per ammirare e applaudire a quello che sta diventando un simbolo concreto di lotta alla mafia: erano lì, invece, per distruggere, per provare a cancellare gli sforzi fatti dall’amministrazione comunale di Grazzanise tesi a dare nuova vita a una proprietà che la mafia aveva messo in piedi con i guadagni del sangue e del terrore sparso in provincia di Caserta. Probabilmente avrebbero sparato alle finestre, preso a picconate quanto è già stato costruito e imbrattato le pareti appena tinteggiate per lasciare un segno della loro nefasta presenza, per dire che il male è vivo, che il clan ha rialzato la testa. Se non ci sono riusciti è perché pochi istanti dopo il loro ingresso si è attivato il sistema di allarme che monitora la zona. Il bene confiscato, infatti, è videosorvegliato da un centro di vigilanza che, in caso di accessi non autorizzati, avverte gli intrusi, grazie a degli altoparlanti, che le forze dell’ordine, immediatamente allertate, sarebbero state lì in pochi secondi.

Stavolta il commando non è riuscito nel suo barbaro intento. Ma già solo il fatto di averci provato dà un segnale pericolosissimo che assume tratti inquietanti se contestualizzato nell’azione di riorganizzazione che la mafia sta portando avanti sul territorio. 

Le recenti indagini coordinate dalla Dda di Napoli hanno dimostrato come le cosche Schiavone e Bidognetti, a seguito dell’ondata di pentimenti, delle imponenti confische e dei numerosi arresti eseguiti nell’ultimo decennio, sono riuscite a ristrutturarsi affidandosi a nuovi leader. A prendere lo scettro sono stati storici affiliati (che in passato svolgevano ruoli non sempre dirigenziali), tornati in libertà dopo aver trascorso decenni in prigione e, in alcuni casi, i figli dei boss storici del clan (hanno iniziato a dettare la linea agli affiliati anche dal carcere). Chi ora è al vertice delle organizzazioni mafiose casertane può contare, per agire, da un lato su una schiera di giovanissimi dell’Agro aversano e dall’altro su stranieri esperti (prevalentemente albanesi) disposti ad eseguire in nome dell’organizzazione (e soprattutto del denaro) quelle attività violente che gli italiani, invece, da qualche anno cercano di delegare. 

Francesco Sandokan Schiavone

L’episodio che ieri ha sconvolto Grazzanise è un messaggio che non può essere sottovalutato: dice in modo netto che la criminalità organizzata, seppur con un’altra forma rispetto a quella che avevamo imparato a conoscere grazie alle inchieste Spartacus, è ancora presente, che combatte e vuole combattere lo Stato, che desidera esercitare violenza nei confronti di chi, in modo concreto, toglie socialmente forza alla mafia. Dice che la cosca Schiavone sta pericolosamente rialzando la testa e che, per farlo sapere a tutti, ieri si è fatta viva in un’area strappata al suo capo. Ma è possibile che abbia agito anche alcuni giorni prima: nel pomeriggio di Ferragosto, infatti, è stato incendiato un campo di cardo, a S. Maria La Fossa, sorto sempre su un terreno confiscato a Sandokan, gestito dalla cooperativa sociale Terra Felix di Succivo.

Emanuele Libero Schiavone

Nei prossimi mesi, Emanuele Libero Schiavone, figlio del capoclan Francesco, si metterà il carcere alle spalle. Il suo ritorno nell’Agro aversano ha già messo in allarme gli investigatori. Con i fratelli Nicola e Walter, diventati collaboratori di giustizia, è diventato lui il delfino del papà capoclan (in carcere dal 1998 e condannato all’ergastolo). Quella di Emanuele Libero Schiavone è una scarcerazione che rischia di dare nuova vitalità alla cosca (salvo che, e ce lo auguriamo, non decida di troncare i rapporti con la mafia). E quando uscirà, non si troverà di fronte un’organizzazione dormiente, ma (come dimostra l’assalto al bene confiscato al genitore) tragicamente pronta ad agire ancora, guadagnando denaro immergendosi nel mercato della droga e riprendendo a estorcere denaro ad imprenditori e commercianti.

Scuole e strutture sportive sulle aree sottratte al clan

Il sindaco Enrico Petrella

La repressione rappresenta solo una parte della lotta. Arrestare chi agisce in nome del clan è fondamentale, ma non basta. Per sconfiggerlo serve togliere ai suoi vertici i guadagni delle loro azioni malavitose. E oltre a sottrarre i beni è importante valorizzarli, tenerli vivi, trasformarli in occasioni per la società. Farlo significa dare concreta dimostrazione di uno Stato che vince e di una mafia che perde. E nel concretizzare questo percorso, le amministrazioni locali che prendono in gestione i beni strappati ai boss assumono un ruolo fondamentale. Quella di Grazzanise, che si chiama ‘Cento Passi’, guidata dal sindaco Enrico Petrella (nella foto) sin dal suo primo giorno del suo insediamento in Comune (datato 2020), si è dedicata anima e corpo a questo tema. È riuscita a riattivare i progetti, per troppi anni lasciati a prendere polvere, tesi a riqualificare le proprietà confiscate a Francesco Sandokan Schiavone e al fratello Valter: ospiteranno laboratori didattici (che frequenteranno gli alunni dell’istituto Falco – indirizzo ‘Agraria’), un palazzetto dello sport, le case degli artigiani, un centro antiviolenza e l’isola ecologica (già attiva).


Recentemente l’amministrazione Petrella ha pure trasformato un terreno confiscato al capozona Alfonso Cacciaputi in un parcheggio: si tratta di un’area che lo Stato aveva acquisito diversi anni fa, ma che fino a quando Cento Passi non si è mossa era rimasta nel dimenticatoio. Dopo l’assalto di ieri a Salvalunga, lo Stato deve continuare a rimanere vicino con forza alle amministrazioni, come quella di Grazzanisa, che si impegnano nella lotta alle mafie.

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