Clan dei Casalesi, tensione tra Martinelli e i Bidognetti per i soldi delle bische. Il figlio di Cicciotto ‘e mezzanotte voleva uccidere un parente del capozona di San Cipriano d’Aversa

Cortocircuito tra le cosche sulla distribuzione dei guadagni dei tavoli verdi

Gianluca Bidognetti, figlio di Cicciotto 'e mezzanotte, Emilio Martinelli (non indagato) e Teresa Bidognetti

CASAL DI PRINCIPE – Non solo estorsioni e spaccio di droga: a garantire denaro alle famiglie del clan c’è anche il gioco d’azzardo. I guadagni delle bische, organizzate nell’Agro aversano con la benedizione della mafia, vengono ridistribuiti mensilmente alle cosche. Un business assolutamente non nuovo, che ha radici lontane. E a confermare che questa tradizione criminale viene tuttora rispettata è stata la recente indagine condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo di Aversa e coordinata dal pubblico ministero Maurizio Giordano: si tratta di un’inchiesta complessa che è riuscita a tracciare e a smantellare (con il blitz dello scorso novembre) i nuovi organigrammi dei gruppi Bidognetti e Schiavone.

Tavoli verdi

L’attività investigativa dei militari ha fatto emergere la presenza di una bisca, gestita da tale Romolo, che avrebbe assicurato denaro sia ai Bidognetti che all’ipotizzato gruppo che farebbe riferimento ad Emilio Martinelli, figlio del boss ergastolano Enrico (ex capozona di San Cipriano d’Aversa). Il dato è saltato fuori grazie ad un cortocircuito riguardante proprio la distribuzione dei proventi della bisca. Il tema viene affrontato nella casa abitata da Vincenzo D’Angelo, alias Biscottino, e da sua moglie, Teresa Bidognetti, figlia del capoclan Cicciotto ‘e mezzanotte. I militari, ascoltando la discussione datata 10 giugno 2021, apprendono che Romolo non voleva consegnare parte dei quattrini spettanti ai Bidognetti a causa di un debito contratto da Umberto Cerci (figlio del più noto Gaetano, ras del clan ed al momento in carcere a S. Maria C.V.). E proprio Umberto, questa la tesi degli investigatori, era incaricato dalla cosca di Cicciotto di riscuotere i proventi illeciti dai tavoli verdi: “Ma non avanza niente”, dice D’Angelo riferendosi al gestore della bisca. “Perché i soldi sono i miei! […] Non sono di Umberto”. In pratica chiarisce che il presunto debito accumulato da Umberto era una questione personale del ragazzo e non poteva incidere sulla quota della bisca che toccava alla famiglia di Cicciotto ‘e mezzanotte.

La quota ai sanciprianesi

Per gli investigatori, la conferma che anche Martinelli avrebbe incassato una parte dei guadagni della bisca arriva da Iolanda Iorio, la mamma di Umberto Cerci: la donna, intercettata mentre parla in casa D’Angelo, afferma che il figlio del boss Enrico pure aveva contratto debiti, ma a differenza della fazione Bidognetti, il suo gruppo avrebbe ricevuto ugualmente la quota: “Lì dentro – dice la Iorio – va pure Emilio. Ti sei cacato di Emilio (lasciando intendere che Romolo non aveva avuto il coraggio di negare il denaro al figlio di Enrico Martinelli, ndr)… e abbiamo paura di Emilio… abbiamo paura di ‘Carusiello’… e noi che siamo? Gli scemi?”.
Riscontro alla tesi dei carabinieri viene dato pure da un’altra conversazione intercorsa tra D’Angelo, Teresa Bidognetti e Umberto Cerci. “Emilio – dice il genero di Cicciotto ‘e mezzanotte – si è giocato i soldi come se li è giocati dal ‘cavallaro’… e come hanno dato i soldi al ‘cavallaro’… tale e quale… adesso invece noi dovremmo essere gli scemi? Avanzi qualcosa da me? Tu (Emilio, ndr) già la volta passata lo hai fatto apposta! Già sei andato alla polizia”.

La lite tra i figli dei boss

Sempre grazie alle intercettazioni, i carabinieri hanno appreso che qualche giorno prima del ‘caso bisca’ ci sarebbe stato un litigio (a distanza) tra Gianluca Bidognetti, figlio di Cicciotto ‘e mezzanotte, quando era nel reparto di alta sicurezza nel carcere di Terni, ed Emilio Martinelli.

L’ordine di uccidere

Uno scontro che avrebbe spinto Gianluca ad ordinare una ritorsione nei confronti di Attilio Guida, zio di Emilio.
L’incarico di organizzare l’agguato sarebbe stato dato ad Umberto Cerci, che a sua volta avrebbe delegato a due sodali di nazionalità albanese il compito di concretizzare l’azione criminale (verosimilmente l’omicidio), coinvolgendo anche Antonio Lanza, capozona di Lusciano, con il compito di procurare un’auto che i killer avrebbero dovuto usare, se ne avessero avuto bisogno, dopo aver commesso il delitto.

L’intervento di lady Bidognetti

Se l’agguato non si concretizza, è grazie all’intervento di Teresa Bidognetti: temeva rappresaglie da parte dei Martinelli e, dato che poco prima aveva avuto un alterco in pubblico proprio con Guida, nei pressi di un bar a Casal di Principe, riteneva che sarebbe stato attribuito a lei il ruolo di mandante dell’assassinio. “Non mi voglio mettere a fare le tarantelle – dice Teresa. – Sono loro il problema, perché se poi viene fuori l’affare con Attilio… lui lo sa”. “Se non lo fa tra domani e dopodomani – chiarisce Cerci, riferendosi all’agguato – io glielo vado a dire (a Gianluca Bidognetti, ndr.)”.
Ma la figlia di Cicciotto ‘e mezzanotte è irremovibile. Non bisognava reagire con violenza: “Stiamo noi fuori (cioè liberi, mentre il fratello era in carcere). Umberto tu… questo… devi dire. A casa sua non deve venire nessuno, ma non sia mai… quelli là (gli investigatori, ndr) intercettano una chiamata del genere… e fanno due più due.. ci andiamo di mezzo tutti quanti”.
La donna temeva che gli investigatori potessero attribuire a loro il delitto. Ma ad impensierirla era anche la reazione dei Martinelli: “Devo stare con la preoccupazione addosso… qualcuno – continua Teresa – può fare qualcosa a questo (facendo riferimento al marito Vincenzo)… perché lo aspettano. Che mettono le mani addosso a questo”. Ma Cerci la rassicura: “Teresa… veramente li spariamo a tutti quanti”.

Le chiamate dal carcere


L’indagine ha documentato che i sodali del gruppo di Cicciotto ‘e mezzanotte riuscivano a tenere i contatti con Gianluca Bidognetti grazie all’utilizzo di cellulari clandestini che circolavano nel carcere di Terni (ora, invece, è in un altro penitenziario ed è ristretto al 41 bis).
Chi del ‘mondo libero’ avrebbe gestito le relazioni con il figlio del capoclan in prigione sarebbe stato prevalentemente Federico Barrino, detto Paciotto.

La scissione

L’attività investigativa dei carabinieri di Aversa avrebbe appurato anche che la presunta compagine che si è addensata intorno ad Emilio Martinelli ormai si sarebbe sostanzialmente staccata dagli Schiavone. Informazioni in possesso di Vincenzo D’Angelo che a febbraio del 2021 decise di darle ad Ivanhoe Schiavone, figlio del capoclan Francesco Sandokan.

I collaboratori di giustizia

Intercettazioni a parte, gli inquirenti della Dda adesso possono sfruttare, per verificare le loro tesi e documentare eventuali illeciti, anche le dichiarazioni dei nuovi collaboratori di giustizia. D’Angelo si è pentito poche settimane dopo il blitz di novembre che lo ha portato in cella. E qualche mese dopo lo ha seguito in questo percorso pure Lanza, incaricato da Gianluca Bidognetti, dice l’accusa, di controllare i territori di Lusciano e Frignano. I due pentiti potranno confermare o smentire la presenza di bische che foraggiano le famiglie mafiose, l’esistenza di una gang diretta da Martinelli e contribuiranno a far luce pure sui presunti screzi avuti dal sanciprianese con i Bidognetti.

Il processo


Le ricostruzioni fatte dai militari dell’Arma e dalla Dda di Napoli, che, logicamente, dovranno essere provate nelle aule di giustizia (al momento vanno considerate soltanto delle ipotesi), sono confluite nella maxi inchiesta che, complessivamente, ha coinvolto 43 indagati: per 39 di loro a giugno prenderà il via il processo (la maggior parte sarà giudicata con rito abbreviato). Tra chi dovrà comparire dinanzi ai giudici ci sono Gianluca Bidognetti, ritenuto l’attuale reggente della cosca fondata dal papà Francesco, le sorelle Teresa e Katia, Vincenzo D’Angelo, Lanza e Barrino, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsioni e ricettazione. L’iter giudiziario, invece, non riguarderà Emilio Martinelli (che non ha mai rimediato condanne per associazione mafiosa), Attilio Guida, Umberto Cerci e Iolanda Iorio, tutti da ritenere innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile.

Il boss va al 41 bis e spunta un video celebrativo

CASAL DI PRINCIPE (Giuseppe Tallino) – Arrestarli e confiscare i beni che hanno accumulato spargendo terrore non basta. Colpire i protagonisti del clan dei Casalesi è fondamentale, vero, ma per sradicare la mafia che rappresentano dal territorio bisogna contrastarli culturalmente. E purtroppo su questo fronte si stanno registrando segnali non incoraggianti: c’è ancora una sostanziosa frangia di giovani che esalta i boss. E per farlo usa gli strumenti della sua generazione: i social. In occasione del trasferimento al 41 bis di Gianluca Bidognetti (a seguito dell’indagine dei carabinieri che ha svelato il suo presunto ruolo di capo nell’organizzazione), su TikTok è circolato un video che inneggia alla sua figura (video su cui stanno investigando i carabinieri).

Fenomeni che non vanno sottovalutati: dimostrano che il clan dei Casalesi può ancora contare su una base di giovani che sposa i suoi ideali. E con l’imminente scarcerazione di Emanuele Libero Schiavone (nella foto a destra), figlio del capoclan Francesco Sandokan, rischiano di crearsi i presupposti di uno scenario potenzialmente pericolosissimo. Per il suo lignaggio, per il carisma criminale che in tanti (compreso il fratello Ivanhoe) gli riconoscono, c’è la possibilità che quando Emanuele Libero tornerà a Casale, intorno a lui si ricostituirà una densa schiera di sodali fatta da nuovi affiliati, da quelli ‘storici’ (ma che finora hanno preferito restare nell’ombra), e da ciò che resta del gruppo Bidognetti (con la prospettiva che il tutto si intrecci con i clan della camorra di Napoli Nord).

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