Così scrive Massimo Gramellini, editorialista del Corriere della Sera, riferendosi ad un fatto di cronaca: “Per indagare sul rivoluzionario significato assunto dalla parola ‘sfigato’, vi propongo un breve viaggio al termine della testa di una ragazza di Macerata. Ai carabinieri che chiedevano le sue generalità (era stata testimone di una rissa) ha dichiarato di abitare in via 226° Reggimento Fanteria, specificando che si trattava di ‘quattro sfigati morti in guerra’. Le hanno dato una multa per oltraggio ai caduti e pare ne sia rimasta stupita. Non avendo la sua cultura in materia, sono andato a verificare. Il 226° si immolò nelle trincee della Prima Guerra Mondiale. E di ‘sfigati’ non ne perse quattro, ma tremila, in buona parte lungo la linea del Piave, durante la resistenza seguita alla disfatta di Caporetto”. Il contenuto di questa storia, che credo sia espressione di una mentalità e di un modo di esprimersi di molti giovani, è di per sé eloquente ed al tempo stesso riprovevole: un segno dei tempi e dello squallore morale e civico che li connota. Siamo di fronte non solo all’ignoranza della storia, ma anche di un immotivato disprezzo nei confronti di quanti immolarono la propria vita per difendere i confini della Patria e per liberare dalle catene della tirannia milioni di cittadini che chiedevano di poter vivere sotto il tricolore. Eppure nei momenti drammatici della disfatta, allorquando gli austro-ungarici, dopo aver sfondato il fronte, stavano per dilagare in tutto il Veneto, furono richiamati alle armi i “ragazzi del ‘99”, ovvero la leva militare di coloro che, poco più che diciottenni, furono subito spediti in trincea. Erano giovani del Sud in maggior parte e credevano di dover compiere un dovere, quello di difendere il patrio suolo. Molti di loro erano analfabeti. Li guidavano ufficiali altrettanti giovani con in tasca tanti sogni ed una robusta cultura che proveniva dagli studi che avevano seguito in quei tempi. A migliaia morirono sulle sponde del Piave, sulle pietraie del Carso e del San Michele per arginare le smanie di espansione degli eserciti degli imperi centrali. Molti furono anche quelli che si arruolarono seppur provenienti dai territori austriaci perché si sentivano, per storia, lingua e cultura italiani. Mai avrebbero immaginato che il loro sangue sarebbe stato offerto ad altri giovani, come la ragazza di Macerata, che avrebbero goduto della libertà civica e politica, ricevendone, in cambio, qualche sberleffo irriconoscente. Non affonderò la penna nella retorica bolsa e ridondante del nazionalismo e dell’elogio della guerra patriottarda, essendo stato istruito sui fatti, senza che si indulgesse nell’apologia della battaglia contro lo straniero. E tuttavia mi offende, come erede di quelle generazioni, l’idea che il futuro appartenga a giovani di quella fatta, ignoranti e spregiudicati nell’esprimere giudizi sui quei tragici e drammatici momenti della nostra storia. Il fenomeno, a ben vedere, è innanzitutto frutto della scuola che non insegna più la storia né educa ai buoni sentimenti civili i ragazzi che la frequentano. Una scuola che si è persa nel pedagogismo dell’accoglienza abbandonando la didattica ed i saperi e, con essi, la missione educativa che di solito si accompagna all’istruzione. Abbiamo di recente raso al suolo la riforma che si prefiggeva di reintrodurre tra i banchi i valori del merito e della conoscenza, finendo con il diventare quella che abbassa le cattedre invece di innalzare i banchi. Oltre centomila i docenti stabilizzati ed assunti con concorsi a cattedra nei quali si sono ripescati finanche i bocciati con la regola del doppio binario, ovvero il ripescaggio dei respinti per anzianità e punteggio maturati ed abilitazioni varie. Altra reprimenda va indirizzata ad una classe politica che non si decide a stringere i ranghi ed a recuperare le materie di insegnamento marginalizzate come la Storia, la Geografia, l’Educazione Civica. Un ceto politico che appare sempre più intento a farsi il calcolo delle rendite elettorali e clientelari che una massa di insegnanti e di ausiliari scolastici gli garantisce in cambio del mantenimento del posto, delle comodità e di un impegno orario di solo ventotto ore settimanali. La scuola riformata cosiddetta “democratica”, è diventata un coacervo di assemblee e di procedure pseudo democratiche che hanno elevato il potere dei genitori e degli studenti annichilendo quello di presidi e prof. Insomma ci meravigliamo e ci indigniamo sempre meno, ed ancor meno a ricordare. Questo è il livello (basso) culturale col quale siamo costretti a fare i conti quotidianamente. Sfigati non furono quei giovani eroi che in molti casi non ebbero neanche una tomba sulla quale piangerli, che scrissero “ O tutti eroi o tutti accoppati “ ma questi sfigati di oggi che vivono nell’edonismo e nell’ignoranza.