“Gomorra – Le origini”, il padre di Giogiò Cutolo: “Basta delinquenti in tv, Napoli non è questa”

L’allarme: "Non tutti hanno gli strumenti culturali per capire che è finzione. Ci sono tantissime scuole di teatro in città, perché arruolano solo nelle aree degradate?".

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serena serrani 2009

Va avanti la battaglia dei genitori di Giovanbattista Cutolo contro le serie televisive violente. “Gomorra – La Serie”, prima tra tutte, additata dal padre Franco, dalla mamma Daniela Di Maggio e dalla sorella Lulù nei giorni immediatamente successivi a quello della terribile tragedia. Giogiò, giovane e talentuoso musicista napoletano, venne ucciso a colpi di pistola da un 17enne il 31 agosto del 2023. “Io lo so – disse Lulù ai funerali – che Napoli sei tu e non è ‘Mare Fuori’, non è ‘Gomorra’, non è ‘Il boss delle cerimonie’”.

Da allora Franco e Daniela hanno continuato a combattere perché il mondo della cultura e dello spettacolo si impegnino a offrire ai giovani modelli sani, invece di esporli al rischio di venire sedotti dall’immagine vincente di criminali incalliti e sanguinari. E quando si è saputo dell’inizio delle riprese del prequel della serie tratta dal romanzo di Roberto Saviano, edito dalla Arnoldo Mondadori Editore della famiglia Berlusconi, il popolo di Napoli ha fatto sentire la propria voce di protesta.

Striscioni per le strade, da San Gregorio Armeno ai Quartieri Spagnoli e interventi video diffusi dai residenti: la città è stanca di essere un set per quella stessa industria dello spettacolo che la dipinge come l’inferno in terra. E che spesso spinge i giovani a disertare la scuola per inseguire il sogno della fama televisiva. Anche in questo caso la voce di Daniela Di Maggio si è sentita. Così come quella di Padre Maurizio Patriciello, parroco di Caivano che tutti i giorni rischia la vita per la sua attività di contrasto alla cultura criminale. Ieri anche il parlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra Francesco Emilio Borrelli è intervenuto sulla vicenda.

A provocare lo sfogo che mamma Daniela ha affidato a Cronache due giorni fa è stato un fatto che l’ha scossa. Ha appreso che il dirigente della scuola frequentata dal fratellastro del giovane condannato per l’uccisione di suo figlio ha concesso al ragazzino un permesso di 15 giorni per permettergli di partecipare alle riprese della fiction “Gomorra – Le origini”.

Il padre di Giogiò è ancora infuriato: “Dopo averlo saputo siamo stati contattati dalla Cattleya. Mi hanno detto che non avevano deciso nulla perché quando si tratta di minori chiedono una serie di documenti ai genitori e non li avevano ancora ricevuti. Forse non lo avrebbero preso, però non è che sono cascati dalle nuvole, anzi. Loro sono arrivati a identificare il personaggio grazie alla nostra segnalazione”.

Diceva di aver sentito il preside della scuola frequentata dal ragazzo.

“Sì, insisteva perché andassi lì a parlarne di persona. Gli ho chiesto di sapere solo se fosse vero. Siamo rimasti che lo avrei richiamato dopo un paio d’ore. Poi ho saputo che il ragazzo non era stato preso e mi sono fermato”.

Quindi problema risolto?

“In realtà questo è solo un fuoco di paglia, mentre la battaglia che la mamma di Giogiò sta conducendo è un’altra. Il punto è che ci hanno rotto le scatole. A noi non interessa se Cattleya incassa venti milioni di euro perché distribuisce nel mondo questa robaccia. Ci sono tantissime scuole di teatro a Napoli, perché vanno a prendere giovani ai quartieri?”.

Cosa ne pensa da regista?

“Lavoro in questo campo anch’io e so bene come funziona. Prendere delinquenti conviene perché funziona, in ambito cinematografico. È ovvio, quindi, che a chi produce queste cose non faccia piacere il fatto che Daniela e don Maurizio Patriciello protestino pubblicamente”.

Cosa le lascia questa vicenda?

“Ho già perso tutto ciò che potevo perdere. Ora posso solo fare questo. La battaglia di Daniela contro Gomorra ha un obiettivo più ampio. Una cosa sono film come “Il Padrino” o “Il camorrista”, un’altra è girare una fiction su qualcosa di contemporaneo utilizzando dei delinquenti. Così si rischia di fare danni. Non tutti hanno la struttura culturale per capire che è tutta finzione. Chi si riconosce nei personaggi di film del genere si esalta ancora di più. Non c’è bisogno di uno psicologo per capire una cosa così semplice”.

La mobilitazione contro l’inizio delle riprese per la fiction

“Ciak si gira sempre Napoli di mira” e “Speculative riprese imperdonabili offese” sono i messaggi scritti a mano su striscioni e volantini comparsi lungo le strade nei Quartieri Spagnoli, lo scorso marzo. A protestare per primi contro le riprese della serie Gomorra – Le origini, prequel dell’ormai celebre saga televisiva tratta dal romanzo “Gomorra” di Roberto Saviano, sono stati proprio i residenti e i commercianti della zona, preoccupati per l’immagine della città che potrebbe emergere ancora una volta da una narrazione della città incentrata esclusivamente sulle dinamiche criminali.

Il malcontento si è rapidamente esteso ai social, dove la pagina “Figli del Sud, popolo sovrano” ha pubblicato un video in cui alcuni abitanti spiegavano le ragioni del dissenso. “Ci abbiamo messo 30 anni per portare un poco di turismo nel nostro quartiere”, diceva uno di loro, mentre un altro aggiungeva: “Ai casting sono ammessi ragazzi dai 15 ai 18 anni – a quell’età i ragazzi devono andare a scuola, non devono andare a fare i casting”.

Alla mobilitazione ha aderito anche l’associazione culturale Neoborbonica, il cui presidente Gennaro De Crescenzo ha affiancato i cittadini dei Quartieri Spagnoli in quella che definisce una protesta pacifica, ma necessaria. “Ancora una volta, la nostra città viene sfruttata come set per una narrazione che continua a danneggiarne l’immagine, alimentando stereotipi pericolosi e restituendo al mondo una visione distorta della realtà napoletana. Da anni denunciamo come cinema e televisione abbiano contribuito a creare e diffondere un’idea sbagliata di Napoli, trasformandola in un simbolo di criminalità e degrado. Questa narrazione, oltre a essere offensiva per la nostra storia e per chi ogni giorno lavora onestamente, ha conseguenze reali: allontana investitori, danneggia il turismo e soprattutto rischia di condizionare intere generazioni, spingendo i più giovani a identificarsi con modelli sbagliati”, ha affermato De Crescenzo in quella occasione.

La contestazione ha trovato eco, nei giorni scorsi, anche in un’altra storica zona di Napoli, via San Gregorio Armeno, conosciuta in tutto il mondo per le sue botteghe artigianali dedicate al presepe. Qui, su iniziativa dell’associazione Le Botteghe di San Gregorio Armeno, è stato affisso uno striscione con un messaggio chiaro: “Gomorra napolesi in tv. Napoli dell’arte non vi sopporta più”. Una presa di posizione che testimonia come il dissenso stia coinvolgendo sempre più realtà cittadine.

I promotori dell’iniziativa spiegavano così la loro scelta: “Non possiamo più accettare che Napoli venga continuamente raccontata attraverso scenari di violenza e degrado. Da troppo tempo, prodotti televisivi di successo sfruttano la città come sfondo criminale, oscurando la sua vera identità”.

Anche Vincenzo Capuano, presidente dell’associazione, si è unito all’appello per un cambiamento nel racconto mediatico:
“È ora di dire basta a un racconto parziale e dannoso. Napoli è cultura, arte, artigianato. È una città che ha dato al mondo talenti straordinari e continua a essere un punto di riferimento per creatività e accoglienza. Non possiamo permettere che venga identificata solo con la camorra”.

L’obiettivo condiviso dalle botteghe artigiane e dai residenti è la costruzione di un fronte comune per promuovere un’immagine diversa e più autentica della città: “Vogliamo valorizzare la bellezza e la storia, non alimentare stereotipi. Napoli non è Gomorra. Napoli è molto di più”.

A queste proteste si è unito ancora una volta padre Maurizio Patriciello, parroco di Caivano da anni impegnato contro la diffusione della cultura camorristica: “Ci battiamo tutti i giorni per proporre modelli positivi ai ragazzi – ha detto il sacerdote – e invece ci troviamo a fare i conti ancora una volta con una fiction in cui i protagonisti sono camorristi. La recitazione è arte, ma deve essere usata nel modo giusto”.

E nei giorni scorsi anche il generale di Corpo d’Armata Carmelo Burgio, per anni comandante provinciale dei carabinieri di Caserta ed eroe della guerra al clan dei Casalesi, ha voluto dire la sua: “Telespettatori e lettori, soprattutto quelli non ancora ben strutturati sotto il punto di vista della maturazione psichica e dell’interiorizzazione di valori finalizzati a garantire la pacifica convivenza e l’apprezzamento per una cultura della legalità, avrebbero potuto essere coinvolti emotivamente, ricercando anche di dar origine ad un perverso processo di emulazione”. Ma anche magistrati come Federico Cafiero De Raho, Nicola Gratteri e Giuseppe Borrelli, in passato, si sono espressi con parole dure contro serie televisive e film basati sui libri di Saviano.

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