Impazza, come sempre, per la formazione di un nuovo governo, il totoministri. Dopo la disfida al Senato con Forza Italia sulle barricate e le truci parole (scritte) di Silvio Berlusconi contro Giorgia Meloni, il barometro nel centrodestra pare stia volgendo al sereno. Nel varcare la soglia di via della Scrofa (dove ha sede FdI), il Cavaliere, che ormai ha consumato quel poco che gli resta dell’indiscusso primato politico di un tempo, da bellicoso combattente qual era, sembra essersi trasformato in Enrico IV, l’imperatore che, nel 1077, dovette recarsi da Matilde di Canossa col capo chino per chiedere perdono al Papa che lo aveva scomunicato. Comunque sia l’incontro canossiano ha disteso i rapporti tra i due leader della maggioranza che hanno deciso di recarsi, in sintonia con Salvini, uniti e compatti alle consultazioni di rito con il Capo dello Stato.
Che sia tregua e non pace duratura lo diranno i prossimi mesi allorquando spartite le poltrone che contano e quelle, ancor più importanti e succulente, del sottogoverno di enti ed imprese statali, si dovrà governare una crisi internazionale, pur tra le mille insidie escogitate delle opposizioni. Queste ultime si sono già portate avanti con il lavoro di delegittimazione del primo governo a guida destrorsa, promuovendo manifestazioni di piazza ed instillando veleni nelle varie cancellerie europee dove si fa balenare l’eterna boutade del Fascismo che torna e dell’allarme democratico. Tuttavia se nel centrodestra sotto le ceneri cova la lotta per condizionare l’azione di governo, nell’altra parte dell’emiciclo di Montecitorio e di Palazzo Madama il fronte delle opposizioni appare ancora più diviso da veti ed antinomie politiche. Il Pd, per capirci, affronta una crisi esistenziale e si prepara ad un congresso ricostituente in tutti i sensi. Forse dovrà cancellate l’esistente e procedere ad una nuova palingenesi. Scegliere, cioè, se consegnarsi alla liberal democrazia, guardando agli elettori moderati e riformisti, che in gran parte rifiutano di votare, oppure ostinarsi a far fronte con una sinistra tradizionale e statalista che ormai non cresce più nei consensi.
Un Pd che appare isolato e che in questo momento ha poco nerbo per contrastare il potere. Lo stesso dicasi con il surrogato del M5S che ormai si è trasformato nel partito di Giuseppe Conte, moderato ed assistenziale, per raccattare voti, mollando i sanculotti protestatari sostituendoli con i beneficiati dal reddito di cittadinanza. Resterebbe il terzo polo di Calenda e Renzi che sono un passo avanti sulla strada del riformismo costituzionale e che su quella strada avranno maggiori possibilità di incontrare le idee sul presidenzialismo della Meloni e, perché no, un sistema elettorale maggioritario e/o diretto. Resta da scandagliare in queste ore cosa succederà tra i fratelli coltelli del centrodestra. Se Berlusconi, cioè, accetterà ruoli di comprimario rispetto all’asse generazionale Salvini-Meloni, oppure punterà a fondersi con il terzo polo. Se, come trapela dalle agenzie di stampa, a Berlusconi pare siano stati offerti pochi ministeri, peraltro orbi della Renzulli, non pare assurdo immaginare di assistere ad un senile guizzo del Cavaliere in direzione dell’asse Renzi-Calenda, come co-fondatore del partito riformista.
Insomma non sembra essere cambiato molto sulla scena politica italiana dove tutto ha un prezzo e niente un valore. Comunque vada a finire, sembra una riedizione delle vecchie modalità di scelta dei ministeri e dei ministri. Va bene il governo politico, ma se i prescelti saranno pescati tra fedelissimi della ditta, al posto di quelli più capaci dei quali si potrebbe disporre, le cose non cambieranno granché. Governo politico non significa scegliere i supporter ma coloro che sono partecipi al movimento politico e che hanno curricula degni di quel nome. Parimenti se si rinuncerà al riformismo, nei campi della giustizia, della previdenza e delle pensioni, della sanità e del pubblico impiego, alla riforma dello Stato sociale, allo smantellamento dei sussidi a pioggia a beneficio di coloro che sono veramente inabili al lavoro. Insomma sostenere i disoccupati che il lavoro non lo rifiutano, imprimendo quella sterzata che molti di quelli che hanno votato la Meloni si aspettano che faccia.
Che ad ogni passo del futuro governo ci sarà,verosimilmente, un’imboscata appare chiaro e purtroppo ineluttabile. A questa diatriba si aggiungerà anche la vecchia abitudine di criminalizzare l’avversario che la sinistra adopera con continui allarmi democratici ad ogni stormir di foglia. Tocca aggiungere quello che trapela sul nome dei ministri indicati ed il governo del cambiamento diventa un ipotesi lontana. Ciò che è nuovo non è noto e ciò che è noto non è nuovo, recita il vecchio adagio. Quando si rileggono vecchi cognomi da proporre per i dicasteri ministeriali la novità diventa difficile da percepire. Eppure ancora una volta, pur con tutte le furbizie, gli interessi, le approssimazioni politiche e le convenienze del caso, il popolo ha inteso votare per un cambiamento, mandando al governo l’unico partito di opposizione. Ciò nonostante c’è da temere che ci troveremo a sorbire solo una minestra riscaldata.
*già parlamentare
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