ROMA – E’ una giornata di attesa quella che precede il voto di fiducia in Senato sul decreto aiuti. Giuseppe Conte riunisce il Consiglio nazionale M5S di buon mattino e la riunione va avanti fino al pomeriggio ma i vertici pentastellati non arrivano a una decisione definitiva. L’orientamento in un primo momento sembra essere quello di confermare l’Aventino sul provvedimento (e quindi anche sulla fiducia, dal momento che a palazzo Madama il voto è unico) senza però voler poi strappare e uscire dal Governo. La strada, però, è in salita. Segnali chiari arrivano sia da palazzo Chigi che dagli altri partiti che compongono la maggioranza.
È Matteo Salvini il primo a imprimere una rotta alla possibile crisi: “Se i 5S non votano un decreto della maggioranza, fine, parola agli italiani. Si va a votare. Se vanno avanti così mi pare che la strada sia segnata, lasciamo perdere altre robe strane”, sentenzia. Di più. “Non siamo disposti – scandisce – a rimanere in una maggioranza di governo senza il M5S. Meglio far parlare gli italiani che andare avanti sulle montagne russe”. Poche ore dopo è Enrico Letta a confermare la linea, cercando in qualche modo di far ragionare l’alleato: “Non è una nostra ripicca il fatto di dire che se cade il governo si va al voto. E’ nella logica delle cose visto quello che Salvini e Berlusconi hanno detto”. Il Cavaliere, in realtà, pur essendo convinto del fatto che Draghi sarà l’ultimo presidente del Consiglio di questa legislatura, pensa si possa “andare avanti anche senza i Cinque Stelle”, ma con una verifica “non più differibile”. “Dopo Draghi non possono esserci altri governi. I numeri formalmente ci sono anche senza i 5 Stelle, ma il presidente del Consiglio ha detto che lui non intende continuare il suo lavoro con un governo indebolito. La scelta è tutta sua e del presidente della Repubblica”, chiarisce Antonio Tajani.
In realtà, la ‘scelta’ di Draghi, racconta chi ci ha parlato, è sempre la stessa. Il premier la ribadisce anche a Conte nel corso di una telefonata.
Il colloquio è interlocutorio, il leader M5S riferisce all’inquilino di palazzo Chigi che il Movimento non ha ancora preso una decisione sul comportamento da tenere domani al Senato. I due si concentrano poi sull’agenda di Governo, sul merito dei singoli punti e su alcuni necessari approfondimenti, ma il nodo politico resta l’impossibilità manifestata da Draghi di andare avanti dopo un eventuale Aventino del movimento sulla fiducia. “La guerra sarà lunga, l’inflazione sale e i costi dell’energia non scenderanno. Serve un Governo in grado di fare le cose, non una trattativa continua su tutto”, è la linea. Ecco perché, ragionano a palazzo Chigi, se il M5S non partecipasse al voto, Draghi non potrebbe far altro che rassegnare le sue dimissioni nelle mani di Mattarella, dando seguito alle parole pronunciate ieri in conferenza stampa: “Non esiste un Governo senza il M5S, non esiste un governo Draghi oltre l’attuale”.
Chi ci ha parlato continua a escludere la possibilità di andare avanti, magari dopo un nuovo voto di fiducia, bypassando il possibile strappo pentastellato sul decreto Aiuti. Anche su questo punto, sia palazzo Chigi che il Quirinale rivendicano piena sintonia. Il presidente della Repubblica interverrà – se sarà necessario – a tempo debito, ma in ambienti parlamentari è dato per certo che abbia trovato il modo di far arrivare a Conte una sottolineatura circa la delicatezza del momento e la necessaria responsabilità che ne consegue. Così, se il leader pentastellato chiede al suo successore nuovi segnali, è anche da palazzo Chigi che viene rappresentata la necessità di una svolta, anche comunicativa, da parte di quello che fino a qualche giorno fa era il maggiore stakeholder dell’esecutivo: “E’ importante – ragionano gli uomini vicini a Draghi – che il M5S trovi il modo di rappresentare questa coincidenza tra l’agenda del governo e i punti sollevati da Conte, in modo da rendere credibile il fatto di proseguire insieme nell’esperienza di Governo”. Mentre le riunioni dei grillini si susseguono, tra i corridoi del palazzo le voci si rincorrono. “L’emergenza rientra”, scommettono i più ottimisti. “La capogruppo e alcuni senatori votano la fiducia, mentre i più oltranzisti lasciano l’aula”, una delle voci che circolano nel pomeriggio, ma che fino a sera non trovano conferma.
“In Senato il M5S è in mano ai ‘pasdaran’ – ammette chi è abituato a tenere sempre aggiornato il pallottoliere di palazzo Madama – comunque vada il gruppo si spaccherà”.
(LaPresse/Nadia Pietrafitta)