di padre Ibrahim Faltas*
Uno scenario triste con due immagini “che feriscono” ma anche spiragli di speranza e di pace. Le strade vuote di Gerusalemme rendono visibile la paura e la sfiducia della gente in Israele e le lunghe file della gente di Gaza che sfida le bombe per ricevere un pezzo di pane e dell’acqua in attesa degli aiuti umanitari che tardano ad arrivare” sono le due immagini dolorose che ci appaiono. Ma ci sono anche segni di speranza: Papa Francesco che chiama il presidente Usa, Biden, “per parlare della guerra, dei suoi sviluppi ma soprattutto di quali strade percorrere per arrivare alla pace” e il Summit per la pace, il 21 ottobre scorso, in Egitto organizzato dal Presidente Al Sisi, con quasi 40 Paesi partecipanti e organizzazioni internazionali. Tanti leader e capi di governo hanno espresso la ferma volontà di fermare l’escalation di violenza che da più di due settimane sta aumentando in modo vertiginoso in questa importante area del mondo. Tutti hanno apprezzato l’iniziativa proposta e voluta dall’Egitto, Paese storicamente impegnato nella mediazione fra Israele e Palestina. La maggior parte dei governanti ha ribadito che la soluzione di due Stati ben definiti nei confini e nelle amministrazioni è l’unica strada da percorrere per arrivare alla pace ma ancora tante posizioni sono divergenti. Si riaffermano alleanze, si ribadiscono linee e strategie”. “È urgente lavorare a soluzioni umane e concrete ma, perché questo avvenga, bisogna prima fermare le armi”. Ogni iniziativa come quella egiziana va favorita e stimolata per fare in modo che israeliani e palestinesi, con l’aiuto della comunità internazionale, si possano sedere ad un tavolo e parlarsi. Bisogna che si lavori per dare spazi vitali e speranza di serenità a questi popoli feriti nel corpo e nell’anima. “Questi ragazzi hanno mantenuto viva la loro relazione di amicizia. Ho avuto la consapevolezza che questo impegno a servizio della pace non è stato vanificato dalla guerra. Mi ha reso felice sapere che i ragazzi israeliani hanno chiamato i ragazzi di Gaza e viceversa per confortarsi reciprocamente e per avere e dare notizie”. Altro spiraglio di pace, il più importante, è la preghiera forte e unita delle Chiese cristiane di Terra Santa. Preghiamo spesso per l’unità dei cristiani e veramente in questa situazione grave stiamo sperimentando concretamente l’unità in Cristo Redentore del Mondo”. Chiaro il riferimento alla preghiera del 20 ottobre, presso la Cattedrale Anglicana di Gerusalemme, delle Chiese Cristiane della Terra Santa per le vittime dell’ospedale anglicano. E ancora domenica 22 ottobre al Santo Sepolcro “uniti con la Chiesa greca ortodossa per il suffragio delle 18 vittime del bombardamento della Chiesa di San Porfirio e di tutte le vittime di questa guerra assurda e devastante”. “La preghiera delle Chiese di Terra Santa è rivolta a Dio Padre perché non vengano colpiti e oltraggiati luoghi di culto e i simboli di appartenenza a tutte le religioni. Preghiamo perché i civili abbiano sicurezza e protezione e perché in tutto il Medio Oriente non vengano bombardati servizi essenziali quali ospedali, chiese e moschee, scuole, panifici”. I Frati Francescani della Custodia di Terra Santa, dopo due settimane di interruzione forzata, hanno ripreso a percorrere la Via Dolorosa per la Via Crucis meditata, offerta in suffragio di tutte le vittime innocenti di questa guerra. “Imploreremo tutti insieme la pace, seguendo le orme di Gesù, in comunione con la Giornata di preghiera e digiuno indetta da Papa Francesco. In Terra Santa da molti anni spirano venti di guerra, le parole e l’incoraggiamento del Papa stanno portando il soffio rigenerante di una speranza nuova”.
* Vicario Generale della Custodia di Terra Santa e del Medio Oriente
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