CASERTA – Questione di confini, e quindi di competenze. Perché, seppur ormai più fluida e capace di superare quelli che erano gli
steccati tradizionali, la mafia – con le sue diverse articolazioni – resta, prima di tutto, un fenomeno territoriale. E l’indagine condotta dalla
Dda di Napoli, che ieri ha portato all’esecuzione di 44 misure cautelari, lo dimostra ancora una volta in modo plastico. In che misura? In quella che vede una delle presunte vittime emerse nell’attività investigativa dei carabinieri finire nel mirino di cosche diverse perché aveva cantieri aperti su territori differenti. Taglieggiato su più fronti, a seconda del ‘controllore’ di zona. Una situazione che l’Antimafia colloca tra il
2022 e marzo 2023, tra Nola e l’Agro aversano, e che ha portato la Procura di Napoli, diretta da Nicola Gratteri, a contestare il reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso a Paolino Felice Russo, 45enne di San Paolo Belsito, e a Giuseppe Di Tella, 53enne di Casal di Principe (CLICCA QUI PER NOMI E FOTO).
Secondo l’ipotesi accusatoria, a subire la richiesta di pizzo sarebbe stato un imprenditore già noto alle cronache, Biagio Francescone. 51enne di Caserta. Attraverso una ditta ritenuta a lui riconducibile stava seguendo la costruzione di due capannoni industriali: il primo, denominato
‘Vega 29’, nella frazione Polvica di Nola, in località Boscofangone, territorio ritenuto sotto l’influenza del gruppo Russo; il secondo, ‘Vega 66’, a Gricignano d’Aversa, area in cui, per gli inquirenti, avrebbe avuto un ruolo di riferimento Di Tella. Proprio per questi due interventi Francescone sarebbe stato costretto a versare una tangente complessiva di 20mila euro. Gli investigatori dell’Arma, del Gruppo di Castello di Cisterna, ritengono inoltre che Russo avesse già incassato in precedenza alcuni ratei estorsivi collegati ai lavori di posa delle guaine sui alcuni capannoni a Nola, eseguiti dalla società ‘D’Ascoli Service’, ritenuta sempre a lui riconducibile. Un intreccio di appalti e servizi che, secondo la ricostruzione giudiziaria, copriva in realtà un sistema di pressione mafiosa strutturato e silenzioso.
Il lavoro svolto dai carabinieri, analizzato dal gip Isabella Iaselli del Tribunale di Napoli, ripercorre passo dopo passo il rapporto tra Russo,
l’uomo d’affari Francescone e alcuni suoi collaboratori. Russo viene individuato come uomo di fiducia di Michele Russo, figura di vertice del clan operante nel Nolano. Per questo viene intercettata la sua utenza telefonica: è da lì che gli inquirenti cominciano a seguire i contatti con il mondo dei cantieri. Le conversazioni ascoltate ricostruiscono un filo costante con un soggetto, considerato braccio operativo di Francescone sui lavori, e con altri ‘aiutanti’. In apparenza si parla di fatture da saldare, sopralluoghi per lavori di guaina, appuntamenti nei cantieri o nei bar lungo l’asse Nola–Caserta. Ma per il gip, che ha esaminato la richiesta di arresti dell’Antimafia, la frequenza degli incontri, il
modo in cui Russo insiste nel voler vedere di persona l’imprenditore, la scelta di discutere solo dal vivo, spesso in strada e lasciando il cellulare in auto, sarebbero prova dell’esistenza di un livello diverso: non più un semplice rapporto commerciale, ma la ricerca di una ‘sistemazione’ economica legata al controllo del territorio.
Il racconto di Francescone, reso dopo il suo arresto (ora è libero) in un altro procedimento connesso a un’indagine legata al clan dei Casalesi, avvenuto nel 2022, confermerebbe questo quadro: l’uomo d’affari sostiene di essere stato avvicinato da ‘Paolo’, interessato alle guaine ma soprattutto a ‘mettersi a posto’ rispetto ai lavori di Nola e Gricignano. Sarebbe stato accompagnato a Casal di Principe, in un’abitazione poi individuata come quella di Giuseppe Di Tella, dove gli sarebbe stata avanzata la richiesta di 20mila euro per lasciare lavorare tranquilli i cantieri riconducibili al gruppo imprenditoriale per cui sostanzialmente operava. Fondamentali, nella visione dell’accusa, sono anche le dichiarazioni rese da due collaboratori di Francescone. Entrambi descrivono un clima di pressione mai esplosa in minacce urlate, ma percepita come inequivocabile: telefonate e messaggi insistenti, allusioni, la sensazione di avere davanti qualcuno forte di un potere che non aveva bisogno di esibire armi o violenza esplicita.
È il ‘nuovo stile’ camorristico che il gip Isabella Iaselli individua: niente sceneggiate, solo toni freddi, sicurezza di sé e un sottinteso che basta da solo a far capire i rischi di un rifiuto. Quando Francescone finisce ai domiciliari, il baricentro delle attenzioni di Russo si sposta proprio sul braccio sui collaboratori del casertano. Gli incontri vengono monitorati nel capoluogo di Terra di Lavoro, tra piazza Pitesti e i bar della zona, con i carabinieri appostati a documentare colloqui brevi, consumati a pochi metri dalle auto, ancora una volta lontano da telefoni attivi. Per il giudice che ha valutato preliminarmente l’indagine della Dda, il mosaico che ne viene fuori mostra un sistema estorsivo a cavallo tra due province e due clan: quello dei Russo nel Nolano e quello dei Casalesi nel Casertano. Il cantiere ‘Vega 29’ e il ‘Vega 66’ rappresentano il punto di contatto tra queste geografie criminali, e la richiesta di 20mila euro viene letta come frutto di un’intesa tra gruppi che si spartiscono il controllo del territorio ma sanno anche cooperare quando gli interessi lo richiedono (i proprietari dei capannoni Vega sono estranei all’inchiesta).
Gli indizi a carico di Russo vengono ritenuti gravi: intercettazioni, pedinamenti, testimonianze convergenti. Per Di Tella, invece, il gip segnala un problema di “contestazione a catena”, ritenendo non sufficiente il solo collegamento ambientale con l’episodio per applicare la misura cautelare. Il suo nome, però, seppur non destinatario di un’ordinanza restrittiva, resta scritto nero su bianco nella vicenda, come tassello di un intreccio che mostra ancora una volta quanto i confini – geografici e di competenza – contino, eccome, quando si parla di mafia e di grandi cantieri.

















