I fantasmi del Cub nella burocrazia, un fallimento che non smette di tornare

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Luigi e Sebastiano Ferraro

CASAL DI PRINCIPE – Se oggi un’amministrazione casertana decidesse di rafforzare il proprio organico, potrebbe trovarsi nella condizione di dover assumere soggetti con alle spalle condanne pesanti. Per capire come sia possibile, bisogna tornare indietro di quasi vent’anni, alla storia del Consorzio Unico di Bacino Napoli-Caserta (Cub).

L’esperimento mancato

Il Cub nacque con l’ambizione di unificare la gestione dei rifiuti nelle due province, centralizzando i servizi e superando l’emergenza cronica dell’immondizia. Un progetto che, sulla carta, sembrava razionale, ma che nella pratica si è rivelato un esperimento fallimentare.
Le profonde differenze territoriali, le resistenze locali, le logiche politiche, un management discutibile e una contabilità opaca ne minarono da subito l’efficacia. A ciò si aggiunsero debiti accumulati, criticità nelle gare d’appalto e carenze nella gestione dei mezzi, in un contesto in cui la raccolta differenziata era ancora un obiettivo lontano.
Il fallimento del Cub non fu solo tecnico o amministrativo: lasciò un’eredità pesante sul piano occupazionale, politico e giudiziario, che continua a farsi sentire ancora oggi.

Le inchieste della Procura

Nel tempo, la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha indagato a fondo sul ‘sistema Cub’, ipotizzando l’esistenza di un intreccio tra affari, politica e criminalità (di vario genere). Le accuse hanno spaziato dall’abuso d’ufficio al peculato, dalla corruzione all’associazione per delinquere. Nel 2017, una delle inchieste più ampie – con 83 indagati – mise sotto la lente ex sindaci, dirigenti del consorzio, funzionari pubblici e imprenditori. Molti procedimenti si sono poi conclusi tra prescrizioni e assoluzioni, senza mai chiarire fino in fondo la portata delle responsabilità.

I lavoratori che ‘resistono’

Da quanto è stata avviata liquidazione del Cub, una parte del personale è stata assorbita da Comuni e società subentranti negli appalti attraverso i cosiddetti passaggi di cantiere. Molti altri, però, sono rimasti in una sorta di limbo: formalmente ancora a carico del Cub, in attesa di una nuova collocazione. Quando un ente locale ha necessità di assumere, deve inviare una nota all’Agenzia regionale Ormel per verificare se siano disponibili le figure professionali di cui ha bisogno. Ciò significa richiedere anche al Cub l’elenco dei lavoratori ‘in disponibilità’. Se il profilo richiesto coincide e l’amministrazione ritiene idoneo il candidato, può procedere all’assunzione.
Nelle scorse settimane è stato il Comune di Castelvolturno a seguire questa procedura: l’Ente ha chiesto la disponibilità di alcune figure da assumere, ricevendo dal liquidatore del Cub, Francescopaolo Ventriglia, una lista aggiornata del personale pronto all’impiego. Ed è proprio in quell’elenco che compaiono nomi destinati a far discutere.

I nomi che pesano

Tra i lavoratori ancora formalmente in carico al Cub figura Sebastiano Ferraro, storico esponente del clan dei Casalesi, condannato nel maxi-processo Spartacus per associazione mafiosa. Il suo profilo è comparso anche in un’inchiesta più recente (del 2022) che ha coinvolto (portandolo a una nuova condanna per mafia) Nicola Schiavone, detto ’o russ.

Nello stesso elenco compare Luigi Ferraro, fratello di Nicola Ferraro Fucone, ex consigliere regionale dell’Udeur e già ritenuto responsabile per concorso esterno al clan dei Casalesi. Anche Luigi è stato dichiarato colpevole di concorso esterno al clan, come il germano.
Altro nome rilevante – lo citiamo per il suo peso politico attuale – è quello di Antonio Scialdone, già direttore del Cub e oggi sindaco di Vitulazio. È stato coinvolto in diverse inchieste legate al Consorzio, da cui è sempre uscito indenne, e in un processo per corruzione elettorale. Secondo l’accusa, avrebbe stretto un presunto patto con un soggetto ritenuto vicino al clan dei Casalesi: aiuti elettorali in cambio di posti di lavoro. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nel 2022, ha escluso l’aggravante mafiosa, dichiarando il reato prescritto.

Il meccanismo di assorbimento

Sebbene in liquidazione, il Cub continua a funzionare (ci prova) come un piccolo serbatoio di lavoratori. Ogni Comune che necessita di personale deve almeno tentare di attingere dall’elenco dei dipendenti del Consorzi in disponibilità. Formalmente, tutto avviene nel rispetto della legge: si tratta di un principio di salvaguardia occupazionale previsto dalle norme. Ma la questione è morale, prima che giuridica. È opportuno che soggetti condannati o coinvolti in inchieste per reati gravi (ci riferiamo ai Ferraro) possano essere riassunti nella pubblica amministrazione? Il rischio è evidente: una norma nata per tutelare i lavoratori potrebbe trasformarsi in un varco attraverso cui figure compromesse con sistemi di potere opachi tornano all’interno delle istituzioni. La speranza, naturalmente, è che tali soggetti abbiano davvero reciso ogni legame con il malaffare.

Un’eredità che non si estingue

Il Cub ha lasciato in dote tanti operatori in attesa di ricollocazione, insieme a un sistema burocratico complesso e inefficiente. Nel frattempo, i Comuni sono stati costretti a ricorrere a gestioni frammentate e ad appalti privati per affrontare il servizio di igiene urbana, con continui cambi di ditta e una conseguente instabilità organizzativa. Oggi, con la nascita degli Enti d’Ambito provinciali (Eda), si tenta di ricostruire un modello unitario di gestione dei rifiuti. Ma i nodi del passato restano, e i fantasmi del Cub continuano ad affiorare.

I simboli di un fallimento

Il Consorzio Unico di Bacino doveva rappresentare un modello di efficienza e trasparenza. È diventato, invece, un laboratorio – stando alla tesi della Procura – di clientele, collusioni e sprechi. Alcuni dei nomi che ancora compaiono negli elenchi del personale in disponibilità mostrano quanto quell’esperimento rischi ancora di proiettare la sua ombra sulla macchina pubblica.

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