I NOMI. Pizzo per conto del clan dei Casalesi: 4 condanne per 40 anni complessivi di carcere

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Antonio Barbato e Carmine Lucca

S. MARCELLINO – Estorsioni in nome del clan dei Casalesi: condanna per quattro imputati. Antonio Barbato, 49enne di Cesa, ha incassato 14 anni di carcere (ritenuto responsabile di due estorsioni sulle tre contestate); 11 anni per Carmine Lucca, 55enne di San Marcellino; 7 anni per Antonio Palumbo, 36enne di Cancello Arnone; e 8 anni per Antonio Chiacchio, 45enne di Teverola. Nel collegio difensivo figurano gli avvocati Giovanni e Michele Cantelli, Agostino Di Santo, Luciano Fabozzi e Agostino D’Alterio. Gli imputati sono da considerarsi innocenti fino a un’eventuale sentenza definitiva.

L’inchiesta, coordinata dalla Dda di Napoli, ha portato alla sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Napoli Nord. Sono stati documentati 13 episodi estorsivi ai danni di negozianti e imprenditori con attività a Teverola, Castelvolturno, Marcianise, Casal di
Principe e San Cipriano d’Aversa, avvenuti tra il 2017 e il 2018. Altri cinque soggetti, oltre agli imputati condannati, erano stati coinvolti nell’indagine, ma le loro posizioni sono state stralciate (alcune per scelta del rito abbreviato, altre perché la competenza territoriale è passata ai giudici di Santa Maria Capua Vetere).

Il lavoro dei carabinieri della Compagnia di Casal di Principe ha ricostruito quella che la Dda definisce una vera e propria compagine di estorsori, costituita sotto la guida di Mario De Luca (difeso dall’avvocato Bernardo Diana), storico affiliato del clan dei Casalesi. La sua posizione è stata stralciata e sarà valutata separatamente a Santa Maria Capua Vetere. Il gruppo avrebbe messo in piedi un sistema strutturato di controllo delle attività commerciali, agendo sia direttamente contro i commercianti sia indirettamente, attraverso
la riscossione di tangenti per operazioni di recupero crediti. In un episodio specifico, alcuni imputati si sarebbero presentati presso l’attività della vittima per riscuotere un credito, minacciandola di morte e danneggiando i macchinari con una mazza da baseball.
Le somme estorte provenivano anche da persone in gravi difficoltà economiche, che per far fronte alle richieste avrebbero pagato in ceste di generi alimentari e beni di consumo, destinati a soddisfare i bisogni di detenuti o altri sodali del clan.

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