Ne ha fatta di strada nel mondo del calcio Davide Merola, 23 anni, nato a Santa Maria Capua Vetere in provincia di Caserta. Dagli esordi con la Juve Sammaritana al campionato di Primavera nel 2017 con l’Inter, che lo “arruola” nel 2014 e lo tiene nella squadra giovanile fino al 2020. Non tarda ad emergere come giocatore, soprattutto in occasione dell’Europa League contro l’Eintracht Francoforte. In seguito gioca per l’Empoli, l’Arezzo, il Grosseto, il Foggia e il Cosenza, alternando tra serie C e serie B. Nel 2023 passa in prestito al Pescara, ma ora è in fase di trattativa. Un attaccante di grande talento tecnico, ma anche un ragazzo modesto e di cuore che non vede l’ora di sposare la sua amata Stefania.
Quando è nata la tua passione per il calcio e quando hai capito che poteva diventare un lavoro vero e proprio?
«A 4 anni ho iniziato a tirare i primi calci sul balcone dei miei nonni, mentre giocavo con mio fratello Antonio. Non nascondo che all’inizio della scuola calcio facevo solo allenamento, perché avevo paura di giocare contro persone che non conoscevo e quindi fingevo di stare male. Ti dico la verità, non l’ho mai visto come un lavoro. Nonostante io abbia firmato il mio primo contratto da professionista a 16 anni, è stata sempre la passione a spingermi a giocare a calcio, anche se crescendo ti rendi conto che sono importanti sia l’aspetto calcistico che quello economico».
Chi erano i tuoi idoli da bambino?
«Il mio preferito è sempre stato Leo Messi. Mio nonno mi faceva sempre vedere le cassette di Diego Armando Maradona, ma ho sempre preferito Messi, forse perché potevo viverlo ai miei tempi e vederlo giocare dal vivo. Per un periodo ho ammirato molto Icardi, ma più che considerarlo un idolo quando mi allenavo con la prima squadra dell’Inter mi impressionava la facilità con cui riusciva a fare goal».
Qual è stata l’esperienza migliore fino ad ora, il ricordo calcistico più bello?
«Gli scudetti vinti con l’Inter e i due europei giocati con la nazionale u17 u19… il ricordo più bello invece è quando sono entrato al San Siro davanti a 70mila spettatori con la mia squadra del cuore in Europa League, l’Inter di Spalletti. Lì ho iniziato a credere che forse era finito il tempo delle giovanili e che era il momento di maturare».
Quali sono state le figure più importanti per te in ambito calcistico?
«Per ora è mister Zeman e tutto il suo staff, perché oltre agli insegnamenti che ti dà in campo ti cambia completamente come persona, cambia il tuo modo di ragionare e per me è e sarà sempre un punto di riferimento».
E di supporto morale invece?
«Ovviamente i miei genitori e mio fratello. A Santa Maria Capua Vetere gira voce che ci siamo trasferiti a Milano perché l’Inter dava la casa, i soldi e il lavoro ai miei. Sono tutte cavolate perché appena hanno saputo dell’offerta dell’Inter loro hanno avuto il coraggio di accompagnarmi e di starmi vicino in questo viaggio. Oggi posso dire che sta andando alla grande. Poi Stefania, la mia compagna, merita una nota d’eccezione per tutte le volte che mi comprende e ascolta i miei sfoghi. Stiamo insieme dall’età di 12 anni e mi è sempre stata vicino in qualsiasi momento. Non a caso nel giro di due anni ci sposeremo. Poi voglio citare mio cugino Domenico, la sera siamo soli e ci facciamo compagnia giocando alla Play, parliamo della nostra giornata e ci ridiamo sopra. Un ringraziamento voglio farlo anche a Carmine, un amico che ho incontrato grazie al calcio. Lui lavorava a Milano in polizia e amava il calcio, così sapendo che c’era un ragazzo di Santa Maria Capua Vetere che giocava nelle giovanili dell’Inter è venuto a vedere sempre le partite. Posso pure giocare in Francia, sono sicuro che lui ci sarà. Mi dispiace dirlo ma i veri amici sono pochi. Col tempo ti accorgi che molti se ne vanno e in pochi restano. Io sono molto contento di aver trovato lui perché so che ci sarà sempre. Ringrazio mio fratello Antonio, perché abbiamo passato dei momenti difficili insieme ma nonostante la distanza basta una chiamata e tutto torna alla normalità. Si è fatto un tatuaggio per me, mi dispiace il fatto che vorrei ricambiare il gesto ma lui sa che i tatuaggi non mi piacciono. Infine ringrazio la famiglia di Stefania, perché anche loro sono molto importanti per me. Mi vedono come un figlio dato che mi conoscono da quando ero piccolo e vogliono sempre il mio bene. Infine, sono stati importanti i miei nonni. Purtroppo non ci sono più, ma questa cosa non l’ho mai accettata e continuo a pensare a loro e a sentirli vicino. Prima di andare a dormire faccio sempre una preghierina o un saluto per loro».
C’è stato un momento in cui hai pensato di mollare e che consiglio daresti ai ragazzi che hanno paura di mettersi in gioco?
«Non ho mai pensato di voler mollare, ma non nascondo che ho avuto tante difficoltà rispetto ad altri giocatori che magari hanno fatto il mio stesso percorso. Loro si sono ritrovati subito lì in serie A, magari il mio percorso deve essere diverso ma io non guardo l’età. Guardo l’obiettivo che mi sono fissato da quando ho iniziato a giocare a calcio, e sono convinto che lavorando come sto facendo posso togliermi molte soddisfazioni. Un consiglio che darei ai giovani è che nulla si ottiene senza il sacrificio. Dietro ogni giocatore c’è sempre un lavoro molto duro che non si vede. Agli occhi degli altri si fa una vita da star ma non è così. L’importante è provarci sempre, in qualsiasi circostanza».