Il fortino statalista

Come principio generale il protezionismo, in tutte le sue forme, non è mai la soluzione ideale. E tuttavia il governo Meloni, per impostazione culturale del suo leader e del partito di maggioranza relativa, pare subire la tentazione di voler elevare una muraglia attorno all’Italia, incentivando le già pletoriche forme di intervento statale  in economia. Insomma: innanzi alla crisi innescata dall’aumento delle spese energetiche e dall’inflazione galoppante, la risposta del nuovo esecutivo non sembra abbia avuto sostanziali differenze rispetto alle politiche messe in atto dal centrosinistra. Si tratta di un riflesso antico, un’abitudine comune in chi governa il Paese: fare leva sull’organizzazione dirigistica degli apparati centrali come se questi ultimi non fossero un esempio di sciatteria organizzativa, di alti costi e di aumento vertiginoso del debito pubblico. E’ noto come ogni azienda (attiva ed efficiente) debba la propria sopravvivenza al gradimento del cliente. Questo, in buona sostanza, il nesso (anche etico) che lega la sorti di una ditta al prodotto che essa eroga. Quantunque un servizio pubblico sia definito come accessibile a tutti e gratuito per coloro che ne hanno diritto, spesso questi viene contrabbandato come monopolio statale. Il che trasforma la pubblicità del servizio in un’obbligatoria gestione pubblica del medesimo. Un vecchio e redditizio inganno che ha trasformato, con il trascorrere degli anni, il nostro Paese (a vocazione liberale), in un sistema economico socialista nel quale chi governa gestisce anche gran parte dell’economia e dei servizi pubblici. Un’idea, quella dell’intervento dello Stato in economia, mutuata dall’economista J.M. Keynes e che non ha mai dato buoni frutti ovunque applicata. Un aneddoto storico ci soccorre a proposito: Jean-Baptiste Colbert, potente ministro delle finanze francesi ai tempi della monarchia assoluta (dove tutto discendeva dalle volontà del sovrano), fu l’antesignano delle politiche stataliste d’Oltralpe. Colbert, prima di assumere un provvedimento che riguardava il commercio, decise di consultare alcuni negozianti di Parigi per avere da loro suggerimenti. Questi, in estrema soggezione, stentavano ad esprimersi. Fu a quel punto che uno di essi ebbe il coraggio di dire: “Eccellenza, la categoria  dei commerci ha due sole semplici necessità, buone strade e buona moneta”. In  sostanza, il buon senso del popolano portava all’estrema sintesi il concetto che lo Stato doveva solamente garantire le infrastrutture e tutelare il potere d’acquisto della moneta, perché l’iniziativa privata e i commerci (leggi servizi) possano  essere efficienti. Per dirla con altre parole: giammai lo Stato doveva sostituirsi alle regole della libera iniziativa. Purtroppo le cose non sono cambiate di molto nei regimi democratici che si affidano all’idolatria del pubblico e che confinano le regole del mercato di concorrenza a un ruolo marginale, rendendolo subalterno al potere politico statale ed agli interessi del medesimo. La prova viene dalla recente approvazione, da parte del governo, della riforma dei servizi pubblici locali: un adempimento di facciata per poter incassare la rata del Pnnr oppure la storica occasione per modernizzare i servizi all’utenza? Vero è che la riforma non impone solamente la modalità della gara d’appalto per individuare i fornitori, ma resta da vedere se altri criteri di affidamento saranno resi operativi. Insomma: se queste funzioni saranno assegnate secondo princìpi di efficienza e di costi all’esterno, oppure se si continuerà con la tradizione di gestirli in house, ovvero direttamente dagli apparati statali. E poi: bisogna effettivamente capire se, alla fine, si aprirà una breccia nel fortino del socialismo statale. Un bunker finora inespugnabile atteso che, secondo la Corte dei Conti, il 93 per cento dei circa quindicimila affidamenti dei servizi esistenti sono tutti affidati allo Stato. Non è roba da poco per i cittadini alle prese con file chilometriche agli sportelli, vessati dalla burocrazia se non taglieggiati dal funzionario preposto, da ritardi e sovrapposizioni anche nel disbrigo delle pratiche più semplici. Aprire un negozio, ottenere una concessione edilizia, ottenere un parere dirimente dalla pubblica amministrazione, trovare qualcuno che voglia assumersi una qualsivoglia responsabilità del proprio ufficio, rappresentano il calvario quotidiano di chiunque abbia a che fare con il servizio pubblico. Nel mentre si mina il criterio solidaristico tra regioni con l’autonomia differenziata che avvantaggia i territori più ricchi e già meglio organizzati, sul piano dell’offerta di servizi all’utenza, l’efficienza del servizio gestito dal privato può servire da contrappeso decisivo. Viceversa i cittadini del Mezzogiorno continueranno a sentire lo Stato come un patrigno e la politica come estranea ai loro bisogni. 

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