Il genocidio di Bucha

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

Era nell’aria, come un epilogo annunciato del conflitto militare in Ucraina. Nella città di Bucha, riconquistata dalle truppe di Kiev, si è consumato un vero e proprio genocidio. E’ stata scoperta una fossa comune con decine di cadaveri, mentre ai lati delle strade un numero imprecisato di morti sono stati lasciati a marcire. Alcune delle vittime avevano le mani legate, a testimonianza del fatto che siano state giustiziate con metodo e predeterminazione. Uno spettacolo orrendo, che il mondo intero ha potuto vedere. Immagini che ci riportano alla mente le crudeltà commesse nel secolo scorso dagli aguzzìni nazisti. Eppure c’è chi ancora si attarda a filosofare a cercare tra i ritagli di storia equipollenze tra il regime di Kiev e quello di Mosca, quasi a giustificare le atrocità di oggi come conseguenza di quelle commesse in passato dagli Ucraini in Donbass sulla popolazione russofona. Non mancano quindi gli storici improvvisati sui social che, bastian contrari di professione, si affannano a fare la parte dei saccenti e degli agnostici mentre la realtà incombe e travolge con il suo carico di sangue e violenza le coscienze degli uomini liberi e pacifici in tutto il mondo. Innanzi al massacro di civili lasciati per strada come cenci sporchi, residui di un conflitto che non fa distinzioni né eccezioni per la popolazione inerme, sembra un sacrilegio mettere in conto arzigogoli e ragionamenti che di volta in volta tendono a mitigare le colpe degli aggressori con il montante compensativo del credo nazifascista del battaglione Azov o delle oscure trame americane e dell’espansione militare della Nato. Tesi che non stanno in piedi né cancellano l’orrore di una guerra nella quale Putin utilizza mercenari ceceni e siriani per fare il lavoro sporco e che viene presentata come liberatoria per i filorussi d’Ucraina. Dare credito a questi parallelismi è come giustificare implicitamente che questo tipo di guerra ha un suo presupposto storico ed etnico. Non mancano neanche le teorie mistiche di un conflitto che fu profetizzato nei segreti di Fatima e oggi nelle apparizioni di Medugorje della Vergine Maria, come espressione del male che incombe su di una umanità che ha smarrito la fede e con essa i sentimenti di bontà. Tuttavia una riflessione di ampio respiro e di plurale valutazione, si impone per meglio comprendere la recrudescenza di tragedie che sembravano archiviate definitivamente dalla storia dei popoli e delle nazioni. L’elemento principale è che dobbiamo fare i conti con uno psicopatico in vena di manie di grandezza come Putin, che possiede il più grande arsenale atomico presente sulla faccia della Terra. Scontiamo la sciagurata rincorsa agli armamenti più distruttivi mai messi a disposizione dell’uomo senza aver saputo smantellare quegli arsenali definitivamente. La comunità politica internazionale e quel desueto e spesso inutile organismo che è l’Onu non si sono mai seriamente occupati della vicenda anche quando è stata sciolta l’Unione Sovietica e la sua potenziale aggressività antagonista di quella statunitense. Due logiche speculari che hanno unito l’Oriente e l’Occidente nel possesso di armi in grado di cancellare la razza umana. Se l’equilibrio del terrore ci ha illusi circa l’impossibilità di una guerra con armi atomiche, in quanto apoditticamente non avrebbe avuto né vinti né vincitori, abbiamo trascurato la circostanza che quegli stessi ordigni nelle mani di un satrapo oppure di un tiranno, lo avrebbe reso immune dalla forza di dissuasione della restante comunità umana dal compiere nefandezze come quelle che si sono realizzate a Bucha. Una sorta di tacito lasciapassare per evitare che altre e più gravi conseguenze potessero insorgere per l’umanità intera. E’ questa impotenza a dare coraggio al guerrafondaio e disarmare coloro che intendono fermarlo in nome della civile e pacifica convivenza tra i popoli. Oggi è toccato agli ucraini essere calpestati dalle mire di conquista territoriale altrui, dalla filosofia di chi ritiene doversi chiudere dentro i propri confini per immunizzarsi dal “contagio” delle libertà occidentali e dal loro portato pratico che edifica società aperte e tolleranti, democraticamente governate e connotate da stili di vita ispirati all’autodeterminazione dei singoli individui e non dall’imperio dello stato illiberale e coercitivo. Più che temere per la popolazione di etnia russa in Ucraina, l’establishment del Cremlino teme per la società russa in patria e la sempre maggiore propensione di quest’ultima ad uniformarsi all’Occidente. Per quanto ci possa infastidire siamo ritenuti tutti coinvolti e responsabili, agli occhi dei reazionari russi, del crimine di volerci liberare dagli obblighi che ci imporrebbe una nomenclatura oligarchica e potente. Mai come adesso è in atto uno scontro di civiltà.

*già parlamentare

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