Il rito del Sati: la pratica crudele delle vedove arse vive

I funerali e la cremazione dei corpi secondo la tradizione buddista. Foto LaPresse
I funerali e la cremazione dei corpi secondo la tradizione buddista. Foto LaPresse

Il rito del Sati è un fenomeno indiano molto diffuso in epoca medievale e moderna. È stato abolito nel 1829, ma è ancora presente in alcuni piccoli villaggi asiatici: si tratta di un fenomeno umiliante, barbaro e crudele nei confronti delle donne.

Di cosa si tratta

Si chiama Sati o anche Suttuee. Il termine deriva dal nome della dea Sati, che si auto-immolò bruciando dall’interno perché suo padre considerava il suo matrimonio un disonore familiare. Consiste nel bruciare vive le mogli vedove sulla pira funebre del proprio marito, appena deceduto. Questa è la forma più diffusa e comune, ma ce ne sono anche altre: possono essere sepolte vive con il cadavere del marito oppure annegate. La donna, soprattutto in epoca medievale e moderna, era proprietà dell’uomo e non aveva potere decisionale: una volta perso il marito doveva sacrificarsi, perché la sua esistenza era diventata vana. Era considerato un gesto volto ad eliminare i suoi peccati e garantire la salvezza al marito deceduto e alle sette generazioni successive. Veniva considerato un atto di devozione sconfinata verso il marito. Bisogna considerare che in passato le donne indù venivano date in sposa molto presto a uomini di età molto più avanzata, dunque la maggior parte delle vedove erano bambine o giovani donne. Non era considerato un suicidio – che, invece, gli indù condannavano – anzi, le donne che lo facevano spontaneamente venivano viste come virtuose. Inoltre, i beni della vedova andavano alla famiglia del marito dopo la sua morte. Quindi, quando le donne tentavano di opporsi, venivano spesso obbligate ad andare a morire dalla loro stessa famiglia. Anche i sacerdoti incoraggiavano le vedove ad andare a morire, perché ricevevano un pagamento.

Come si svolge

La vedova indossava il sari di matrimonio, pronunciava un rituale e si gettava nel fuoco della pira funebre. Intanto, intorno, i cittadini marciavano per ore assistendo alla lenta agonia del corpo in fiamme. Se la donna era incinta o aveva le mestruazioni poteva rimandare il rito o addirittura salvarsi, perché ritenuta impura. Poteva essere sia la donna stessa a dar fuoco alla pira sia un suo fratello. Le urla della vittima venivano coperte dalla musica: secondo la tradizione, la donna non poteva realmente soffrire perché in quel momento si stava trasformando in un’eroina, una specie di divinità. Sembra che alcune famiglie, per far soffrire meno la vedova, decidessero di drogarla. Se la vedova riusciva a salvarsi – accadeva molto raramente, ma poteva iniziare a piovere oppure qualcuno poteva gettarle addosso una tinta blu definita “simbolo degli intoccabili” – diventava una sati vivente e veniva venerata dalla comunità. Le poche che riuscivano a scappare dal triste destino che veniva loro imposto, erano additate come portatrici di sventura e destinate a una vita di emarginazione. Purtroppo, molte donne decidevano di bruciare vive pur di non vivere l’inferno della vita da vedova hindi. La donna senza uomo non valeva nulla: venivano estromesse dalla società, ostracizzate, isolate. Non erano libere e potevano essere addirittura additate come le responsabili della morte del marito.

Il Sati oggi

Nonostante i divieti, nel 1950 sono stati oltre sessanta i casi di Sati documentati in India. Nel 1987, ad esempio, il rito è stato praticato da una diciottenne di nome Roop Kanwa. Per i pro-sati è diventata una “madre pura” e si recavano al suo santuario per portarle dei doni. Le 56 persone accusate del suo omicidio sono state assolte. Ci sono molteplici casi del genere, anche più recenti: nel 2006 Vidyawati, di 35 anni, è saltata nella pira funebre del marito. Nel 2008 una 75enne ha fatto lo stesso. Nel 2014 si ha notizia di una donna che si è gettata nell’area di cremazione del marito. A seguito di diverse proteste e richieste pubbliche, oggi sono aumentati i provvedimenti per evitare che questa pratica si ripeti ancora, ad esempio è illegale anche essere semplice spettatore del sacrificio.

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