Ebbene sì. Mario Draghi sarà mandato a casa con il suo governo tecnico o di unità nazionale che dir si voglia. Un colpo di scena che, come quasi sempre accade, ha superato di gran lunga ogni immaginazione e tutte le previsioni della vigilia fatte dai commentatori politici. La defenestrazione dell’uomo della provvidenza, quello rispettato e considerato (in tutte le cancellerie mondiali) come l’unica persona in grado di introdurci nei salotti buoni della finanza internazionale e di far volare alto il buon nome dell’Italia, è stata determinata da una mossa a sorpresa orchestrata dal centrodestra. In particolare da Salvini e dalla Lega, capaci, in questa legislatura, di ricoprire un po’ tutti i ruoli parlamentari.
Prima al governo con i cinque stelle, vilipesi e scherniti in campagna elettorale, con alla guida l’azzimato avvocato pugliese Giuseppe Conte; poi all’opposizione contro un nuovo governo guidato dallo stesso Conte ma di segno politico diametralmente opposto (Pd al posto del Carroccio); infine di nuovo in sella, in un esecutivo di solidarietà nazionale guidato da Draghi di cui poi hanno determinato la caduta per un’insorta incompatibilità con i grillini. Insomma una politica rappresentata da un cerchio perfetto, da fare invidia a quello di Giotto, con un algoritmo tarato, di volta in volta, sulle percentuali di consenso che i sondaggisti assegnavano al partito di via Bellerio, con buona pace di ogni altra contingenza e necessità politica. L’altro personaggio-partito in cerca di autore è stato Silvio Berlusconi con le sue ormai residuali truppe parlamentari di Forza Italia, immemori dei recenti trascorsi e dei reiterati encomiastici giudizi profusi sull’operato dell’ex governatore della BCE.
Insomma quello che dovevano fare le truppe pentastellate rimaste fedeli a Conte lo hanno fatto Leghisti e Forzisti togliendo le castagne dal fuoco alla banda di Grillo. Per essere forze politiche dichiaratamente moderate non c’è male come responsabilità comportamentale. Fatta salva la forzosa coerenza di Fratelli d’Italia che era fuori dai giochi e non poteva che chiedere il ritorno anticipato alle urne (ove i sondaggi accreditano in sensibile crescita elettorale il partito di Giorgia Meloni). Che il centro del centrodestra si assumesse la responsabilità di far cadere Draghi, esimendo le varie tribù grilline dal determinarne lo sconquasso, oltre che concedere una salutare tregua ai 5 Stelle, va oltre le più logiche previsioni.
Nessun dramma, sia chiaro, quando la parola torna agli elettori. Tuttavia i governi si licenziano quando se ne evidenziano i limiti programmatici e le insufficienze gestionali, non quando ci viene in antipatia un compagno di strada con il quale si è governati per ben due volte come nel caso del Carroccio. Parimenti quando zizzania e discordia regnano nel campo antagonista del partito di maggioranza relativa, si lasciano scoppiare ulteriormente le contraddizioni e le scissioni. Nel punto in cui si è arrivati non desta scandalo la caduta di un governo ma il fatto che si compia un salto nel buio. In piena crisi energetica e pandemica, nel mentre ben duecento miliardi di progetti del PNRR devono essere portati a termine, ci si consente il lusso di poter pensare di poter vincere le elezioni senza pagare dazio accreditandosi come antagonisti degli “sfascisti” a cinque stelle dopo esserci andati a braccetto per oltre metà della legislatura. Da queste colonne invocammo che lorsignori andassero a casa perché la crisi ormai era del sistema partitocratico alimentato dal sistema elettorale proporzionale che in futuro riprodurrà le identiche difficoltà di sintesi parlamentari che stiamo vivendo oggi, per raggiungere una maggioranza stabile ed omogenea in Parlamento.
Ma nessuno ha fatto cenno a queste considerazioni sulla futura tenuta politica nelle Aule Parlamentari neanche per coprire le misere intenzioni di una più dignitosa veste. Alla fine della fiera tutto è rotolato verso il baratro per mere motivazioni di bottega, per calcolo interni ai partiti, in spregio a qualsivoglia ragionamento degno di questo nome. Se il centrodestra, ormai privo di leader capace di riscuotere credito e fiducia, pensa di poter vincere facilmente le elezioni con il segreto, in pectore, dell’idea di avere titolo poi a guidare il governo, credo che questi si sbaglino. Il centrosinistra, che tira un sospiro di sollievo per non essere tra quelli che il governo lo hanno fatto cadere, potrà così ripensare a realizzare quel campo largo con i cinque stelle esteso a Renzi, Verdi ed a quel Calenda che nel suo pantheon ideologico scrive: “Liberalismo sociale, Socialismo liberale, Progressismo, Europeismo, Riformismo,Ambientalismo, Popolarismo”. Insomma una serie variopinta di ossimori e contraddizioni. In questo mare procelloso andremo alle urne con quasi tutti i principali protagonisti convinti di essere come la pulce che vive nella criniera del leone: convinta di essere lei ad emetterne il ruggito del re della foresta.
*già parlamentare
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