Gioia e dolore. Sangue e manette. Quella di ieri è stata una giornata storica e ambivalente per Napoli: contemporaneamente entusiasmante e triste. La gioia, condivisa dall’intera nazione, per le manette scattate ai polsi del boss Marco Di Lauro (il secondo latitante più pericoloso d’Italia dopo Matteo Messina Denaro), e il dolore per il femminicidio che solo poche ore prima si era consumato a Melito. A morire, nella tarda mattinata, è stata una donna di 33 anni, Norina, colpevole di aver intrecciato la propria esistenza con quella di un pregiudicato, il 41enne Salvatore Tamburrino, marito dal quale si stava separando e che l’ha uccisa con tre colpi di pistola. Una gioia e un dolore figli dello stesso perverso disegno: è stata infatti proprio la cattura del 41enne a far scattare la trappola in cui è poi caduto il boss Di Lauro. Del resto basta ripercorrere il breve lasso di tempo che è passato tra i due eventi: il blitz nel covo di Chiaiano dove si era rintanato il latitante è scattato poche ore dopo l’arresto di Tamburrino. Il 41enne è un pregiudicato, già finito nei guai proprio per reati che avrebbe commesso da affiliato del clan Di Lauro. Di più: secondo gli inquirenti Tamburrino sarebbe stato il luogotenente del giovane boss, il suo braccio operativo nei lunghi anni di latitanza. Un quadro unico, quindi, degradante e triste. Uno scorcio della Napoli malata, dal quale emerge la ‘maledizione’ della camorra e il destino al quale sta costringendo da anni la città (e l’Italia intera). Una banda di trogloditi che trascina con sé intere generazioni; che mette al mondo figli condannati a vivere (e morire) di violenza. Oggi piangiamo una mamma e due ragazzini (di 7 e 14 anni) rimasti orfani. Quale padre può andare fiero di una simile esistenza? Quale camorrista può andare orgoglioso della città in cui è nato, se la condanna a questo perenne degrado? Per questa ragione riusciamo a gioire anche nel giorno in cui a Napoli ci sono due orfani in più. Esultiamo per lo schiaffo che le forze dell’ordine, coordinate dalla Dda, hanno dato alla criminalità organizzata. Per la speranza che una vittoria storica di questa portata può dare alla città e alla nazione. Una battaglia vinta nella guerra contro il nemico numero uno d’Italia, contro questa camorra che ancora una volta ha dimostrato quanto è squallida: un’accozzaglia di scimmie che si nutrono (e si autodistruggono) con il sangue di chiunque incroci il loro cammino. Facciamo festa per l’arresto del superlatitante, e diffidiamo di chiunque, già da ieri, sta tentando e tenterà di ‘metterci il cappello’: i politici già stanno facendo a gara per farne un cavallo di battaglia alle urne (a partire dal sindaco di Napoli fino ad arrivare al ministro dell’Interno, entrambi impegnati, su sponde opposte, nella campagna per le elezioni Europee). Perché gli unici legittimati a cantare vittoria sono gli abitanti della città di Napoli, della Napoli sana, quella che si vuole mettere alle spalle il mondo delle scimmie camorriste.