Indagini sul ‘business degli indiani’. Nel mirino professionisti, Caf e ‘mediatori’

Certificati falsi per garantire sussidi e permessi di soggiorno e schiere di prestanome da usare nelle truffe: a fare da regia un gruppo di italiani

GRAZZANISE – Rappresentano la parte essenziale della forza lavoro impiegata nelle aziende agricole e nei panifici: nell’ultimo decennio, indiani, pakistani e bengalesi si sono inseriti in quei settori occupazionali tipici del Basso Volturno che gradualmente sono stati abbandonati dagli italiani. Ed è un trend che, fisiologicamente, ha rafforzato e sta rafforzando la presenza sul territorio di queste comunità straniere: alla politica il complicato compito di riuscire ad integrarle nel tessuto sociale locale. E in attesa che accada, c’è il rischio, però, che questi gruppi, oltre ad essere forza lavoro, possano trasformarsi anche in occasioni di business illeciti per alcuni residenti spregiudicati. Come? Garantiscono agli stranieri, logicamente in cambio di denaro, indennità dallo Stato che non avrebbero diritto a ricevere, attraverso contratti di lavoro e di residenza fittizi, e in alcuni casi usandoli come teste di legno di società coinvolte nelle truffe del momento. Quando sono gli indiani a beneficiare dei servizi illeciti, logicamente sono loro a pagare agli italiani. Quando invece si prestano ad essere complici di irregolarità, ricevono una parte dei proventi incassati dai casertani. Si tratta di fenomeni sui quali le Procure campane hanno già acceso i riflettori. Ed infatti, una delle varie inchieste condotte da quella di S. Maria Capua Vetere (tante sono ancora in corso e alcune hanno fatto scattare nei mesi scorsi diverse perquisizioni presso alcuni studi di commercialisti e Caf), rischia di trascinare a processo un indiano 48enne stabilitosi a Grazzanise. Con quale accusa? Avrebbe presentato un certificato di residenza storico taroccato per ottenere il permesso di soggiorno.

L’incriminazione di questo 48enne è solo la punta dell’iceberg di un sistema molto più complesso: solo dietro a quell’atto posticcio, infatti, ci sono un centro di assistenza fiscale che si è occupato della pratica, probabilmente consapevole di cosa stesse facendo, e un mediatore che si sarebbe speso per procurare l’atto tarocco da inserire nell’incartamento teso ad ottenere il permesso di soggiorno. L’indiano in questione ha confessato agli inquirenti di aver pagato al suo contatto italiano 500 euro e ha pure indicato il Caf che gli avrebbe curato la pratica. Insomma, una filiera non semplice che gli investigatori stanno ricostruendo. Una filiera che rientrerebbe in una struttura criminale molto più ampia sulla quale sarebbero in corso da diversi mesi attività investigative di fiamme gialle e militari dell’Arma.


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