NAPOLI – Negli anni ’60, nel piano di ricostruzione nazionale, le scelte di sistema per la mobilità portarono a dividere l’Italia in due. Al nord si creò una rete autostradale in concessione e a pedaggio, mentre il sud venne “toccato” da un’unica autostrada di montagna per collegamenti interregionali.
Nessuna giustificazione politica e culturale, oltre che tecnica, poteva giustificare una scelta del genere. Così facendo l’Italia fu spaccata in due, le infrastrutture e la mobilità, in questa maniera, non contribuirono a creare parità territoriale e cittadinanza orizzontale da una parte all’altra del paese.
Questo errore strategico (e voluto) non viene recuperato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Anzi, questi accentua la diversità e non recupera quanto al sud spetterebbe.
In materia di collegamenti ferroviari, porti e logistica, mentre al nord verranno concesse maggiori risorse, quindi più investimenti e più prospettive in progressione di crescita, il sud verrà “attenzionato” solo attraverso opere di miglioramento del pregresso, ovvero una mano di facciata all’esistente.
Una prima e pesante riflessione deve “leggere” il PNRR come poco coraggioso è che, molto probabilmente, standardizzerà la dualità tra una parte e l’altra di questo Stato. Insomma, l’arretratezza del Mezzogiorno non vedrà fine e sarà destinata ad accentuarsi, ben oltre il dettato costituzionale che prescrive qualità e parità di cittadinanza.
Se da un lato si sostiene che le infrastrutture siano uno dei principali aggregati di sviluppo di un paese, dall’altro si praticano scelte che affermano tale principio solo per il nord e non per il sud. Strano, contraddittorio, pericolosamente vero.
Questo modo di agire somiglia molto ad un altro imbroglio secolare perpetuato sotto la linea del Garigliano: gli investimenti pubblici risultano funzionali alla creazione di sviluppo (presunto) senza occupazione. Allora, come è per chi si investe bisogna stabilirlo prima e non dopo.
L’Europa, dal canto suo, vuole veramente il recupero di differenze economiche e sociali, approvando progetti in grado di omogeneizzare nord e sud, ponendo in una condizione di vantaggio il Mezzogiorno affinché diventi una forza principale nell’euro-mediterraneo?
Al recupero del coraggio deve aggiungersi professionalità, dedizione e tanta buona fede, ingredienti principali che dovrebbero caratterizzare la fisionomia del buon amministratore, di chi aspira a chiamarsi classe dirigente. Deve essere facile e dovuto, non ci sono più attenuanti.
Il sud, a sua volta, deve metterci del suo, non può restare a guardare, l’immobilismo lo renderà perdente nella sua stessa esistenza in questo mercato globale. Qui e non altrove bisogna stabilire le rotti dello sviluppo e della ripresa degli squilibri provocati dall’unità in poi.
Per intenderci, se si finanzierà la terza corsia alla Salerno-Reggio Calabria e qualche altro programma puntuale e non sistemico in tema di infrastrutture, se si pensa di recuperare qualche ora per i tempi di percorrenza e rafforzare qualche punto di mobilità locale e regionale a vantaggio delle aree interne, non si andrà da nessuna parte. In questa condizione il sud si chiuderà in se stesso e non verrà penetrato dai nuovi assetti geopolitici ed economici.
Resterà quell’opera incompiuta che gira su se stessa, permettendo a tutti di salire sui propri gioielli e farne merce di svendita e di eterno stare indietro…
di Raffaele Carotenuto, scrittore e meridionalista