Intercettazioni, gli avvocati: “No a strumentalizzazioni politiche”

NAPOLI – “Intercettazioni? Evitare strumentalizzazione politiche e vigilare sul suo corretto utilizzo. Piuttosto rivedere il sistema della procedibilità per querela”. E’ il pensiero di una parte dell’avvocatura napoletana alla luce delle ultime ipotesi di riforma della Giustizia, dalle intercettazioni all’obiettivo deflazione. “Alle riforme serve un periodo di adattamento e di rodaggio” aveva spiegato il Primo Presidente della Corte di Cassazione Pietro Curzio nella sua relazione per l’anno giudiziario parlando delle riforme che hanno interessato tutti i settori del vasto mondo della giustizia. Di recente, tuttavia, a far maggiormente discutere è stata proprio la possibilità di una modifica al sistema delle captazioni così come dichiarato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio.

“La polemica che si è alimentata all’indomani delle dichiarazioni programmatiche del ministro mi ha sorpreso non poco ed è figlia esclusivamente di una strumentalizzazione politica della tematica delle intercettazioni alla quale gli operatori del diritto non devono prestare il fianco – sottolinea l’avvocato Isidoro Spiezia – sostenere, infatti, che il Guardasigilli voglia depotenziare l’utilizzo delle intercettazioni indebolendo il potere investigativo è pura demagogia. Il Ministro, invece, da uomo del diritto e da uomo delle istituzioni è, per la prima volta nel nostro paese, alla ricerca di un bilanciamento tra opposti interessi. In primis vi è quello della magistratura inquirente che ha nell’intercettazione un formidabile ed irrinunciabile strumento d’indagine che evidentemente ambisce ad un’estensione del suo perimetro. Dall’altro lato vi è la tutela costituzionale di ogni forma di comunicazione. E’ su tale inviolabilità sancita dall’art. 15 della Costituzione che si sono manifestate le preoccupazioni del ministro in relazione in particolare alla figura di soggetti terzi estranei all’indagine, intercettati loro malgrado, e dati in pasto alla pubblica opinione per fatti non riguardanti l’indagine o anche in riferimento agli stessi indagati che vedono la pubblicazione di intercettazioni non rilevanti rispetto all’investigazione”. La legge, in proposito, già c’è, visto che secondo quanto già stabilito nella riforma approvata a febbraio di tre anni fa quelle conversazioni che estranee al reato non possono assolutamente finire nel fascicolo processuale.

“E’ stato ribadito a più riprese – l’analisi del penalista Michele Sanseverino – che le intercettazioni non subiranno limitazioni in relazione ai reati di allarme sociale mentre potranno, forse, subire una rivisitazione per i reati meno gravi ma è certo che sarà disciplinata in maniera coerente con le premesse la fase della pubblicazione degli esiti delle intercettazioni. Il Ministro si pone un obiettivo ambizioso, ed in questo deve essere sostenuto dagli attori del processo, ovvero ricercare una sintesi reale tra opposte esigenze senza che l’una sia soccombente rispetto all’altra”.

Vigilare e non modificare l’attuale sistema delle intercettazioni e il pensiero dell’avvocato Luigi Bonetti. “Non sono d’accordo alle modifiche sulla disciplina delle intercettazioni perché il nostro legislatore ha previsto garanzie che sono ben specificate, individuate e a mio avviso corrette. Non possono essere utilizzate senza alcuna garanzia, c’è bisogno del vaglio critico di un pubblico ministero che poi deve richiederne la convalida al giudice e non possono essere fatte per tutti i reati. Il sistema per come è ora è stato creato con scrupolo e con garanzia per colui che viene intercettato. Sono d’accordo che i giornalisti pubblichino il contenuto delle intercettazioni se naturalmente nei limiti del fatto di interesse pubblico. Il problema è a monte: personalmente utilizzerei una disciplina apposita per controllare l’esatta applicazione della disciplina delle intercettazioni, prevedendo o inasprendo sanzioni o creando un comitato di controllo. Non cambierei nulla ma vigilerei sull’esatta applicazione della normativa, sia per i magistrati che per i giornalisti che non si attengono scrupolosamente al fatto di interesse pubblico o che pubblicano conversazioni di soggetti nemmeno indagati”. In tema di riforme, invece, in particolare con la riforma Cartabia, c’è chi pone l’attenzione in particolare sulla giustizia riparativa.

“Il problema è l’ampliamento dei reati procedibili a querela – spiega l’avvocato Anna Pedata – che diventa strumento di funzione selettiva. La querela va a selezionare e di fatto va a depenalizzare tutta una serie di ipotesi reato in cui la depenalizzazione da parte del legislatore appariva una scelta troppo radicale. Ma nel momento in cui si interviene con la querela là dove ci sono reati, ovviamente in passato non procedibili a querela, tipo furto, lesioni superiori a venti giorni o sequestro di persona, ci troviamo di fronte a situazioni completamente chiuse con il ruolo dell’avvocato defilato e completamente relegato in un angolo. Tutta questa serie di delitti contro la persona e contro il patrimonio procedibili a querela non fa altro che in concreto appiattire quello che dovrebbe essere il significato e la natura della pena. Si è voluto risolvere il contenimento del sovraccarico giudiziario attraverso il sistema della querela. Si dà importanza alla scelta del singolo: dove la persona offesa non ha proceduto alla querela si tratta di un reato non procdebile. Molto poco a favore del cittadino, con il ruolo dell’avvocato sempre più marginale”.

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