“Io sono Mezzero, abbassa la testa”. La spavalderia mafiosa dietro le sbarre

Il messaggio rivolto a un setoliano, raccontato da Alessandro al padre durante un colloquio

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CASAL DI PRINCIPE – La spavalderia criminale tipica di un appartenente a un sodalizio mafioso. Una barbarica fierezza per il cognome, perché pronunciarlo richiama a feroci trascorsi malavitosi. Tutto questo emerge dalle poche parole pronunciate da Alessandro Mezzero durante un colloquio in carcere – intercettato – con il padre, Giacomo Mezzero, in cui racconta uno dei suoi primi incontri avuti proprio dietro le sbarre.

Alessandro chiede al genitore se avesse riconosciuto un altro detenuto presente in quel momento sala. Il padre risponde di no e allora lui gli fornisce un indizio: è il parente di una certa Maddalena. A quel punto, Giacomo Mezzero collega: si tratta di uno dei Setola. Secondo quanto ascoltato dai militari, si tratterebbe di un elemento in qualche modo legato al gruppo di Giuseppe Setola, alias Peppe ‘o Cecato, leader ergastolano dell’ala stragista del clan Bidognetti. Un’appartenenza, però, che non avrebbe affatto intimorito Alessandro Mezzero. Anzi, lo racconta con fierezza: “Lo guardai in faccia – riferisce al padre – e dissi: ‘Piacere, Mezzero. Abbassa la testa che ti sgonfio’”.
Spiega, poi, anche il motivo di quell’atteggiamento: “Qua dentro – dice – non devi mai abbassare la testa”. Tradotto: il carcere, che dovrebbe essere un luogo di rieducazione sociale, è invece un ambiente criminalmente competitivo (una palestra malavitosa), dove sopravvive chi non si piega e il lignaggio mafioso aiuta.

Vantarsi di un cognome non è un reato, ma considerato il contesto e il modo in cui lo ha fatto, per gli investigatori questo episodio rappresenta un ulteriore elemento che rafforza la tesi della Direzione distrettuale antimafia: quale? Che Alessandro Mezzero sarebbe un elemento della costola del clan dei Casalesi guidata dallo zio, Antonio Mezzero.
L’indagine che lo ha portato in carcere – condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta – ha puntato a colpire l’attività di riorganizzazione del gruppo mafioso, proprio ad opera di Antonio Mezzero, tornato in libertà nel 2022 dopo oltre 24 anni di detenzione. L’inchiesta ha ricostruito non solo il ‘cerchio magico’ del boss originario di Brezza (poi – scarcerato – trasferitosi a Santa Maria Capua Vetere), ma anche gli altri soggetti legati alle cosche Zagaria e Schiavone, con cui lo stesso Mezzero avrebbe avuto rapporti per pianificare affari criminali.

Tra questi ci sono Carlo Bianco, anche lui arrestato a ottobre con l’accusa di estorsione, Giovanni Diana (che risponde di associazione mafiosa ed estorsione) ed Elio Diana, che però non è stato raggiunto da provvedimenti cautelari e, almeno per quanto in nostra conoscenza, non risulta coinvolto nell’inchiesta.

Il lavoro dei carabinieri, coordinati dalla Procura di Napoli diretta da Nicola Gratteri, oltre a ricostruire estorsioni e nuovi progetti criminali che avrebbero visto protagonisti Mezzero e i suoi complici, ha anche un altro merito: è riuscito a frenare la spavalderia mafiosa che il boss di Brezza e i suoi sodali avevano ripreso a manifestare sul territorio, una spavalderia dannosa per la società e per chi ogni giorno si impegna a migliorarla

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