ROMA – Linea dura in Vaticano sull’antiriciclaggio. Per la prima volta, il tribunale della Santa Sede applica l’articolo 421-bis del codice penale. Condannando a due anni e sei mesi di reclusione e alla confisca di oltre un milione di euro l’imprenditore edile Angelo Proietti.
L’imprenditore edile condannato per autoriciclaggio
Proietti era legato allo Ior perché intestatario di conti sequestrati nel 2014 e sui quali movimentava decine di milioni di euro. Dal 2016 era ai domiciliari, nell’ambito di un’inchiesta della procura di Roma, con divieto di comunicazione per bancarotta fraudolenta aggravata dal fallimento dell’impresa di cui per anni è stato amministratore unico, ‘Edil Ars’.
La sentenza del Vaticano contro Proietti
Il Tribunale del Vaticano lunedì 17 dicembre ha emesso la sentenza. All’indagine che ha dato luogo al processo hanno partecipato l’Ufficio del Promotore di Giustizia, l’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF) e la Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano. In cooperazione giudiziaria con lo Stato italiano.
“La pronuncia del Tribunale – commenta il Vaticano – assume fondamentale importanza nell’ottica del sistema di prevenzione del riciclaggio. E di contrasto al finanziamento del terrorismo messo a punto dallo Stato negli ultimi anni”.
I principali clienti dell’azienda edile
L’azienda ‘Edil Ars’ era specializzata in lavori edili di beni ambientali e monumentali e partecipava regolarmente ad appalti pubblici di particolare interesse storico artistico. Oltre a eseguire commesse private. Per diversi anni ha operato nel Lazio, in particolare su Roma, dove è stata appaltante di lavori presso lo Stato Città del Vaticano nell’Apsa, Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e nel Governatorato. Ma non solo.
Tra i principali clienti, oltre all’Apsa e al Governatorato, figuravano l’Ospedale Bambin Gesù, la fraternità di Comunione e Liberazione. E alcuni ministeri italiani, la curia generalizia della congregazione benedettina e silvestrina, le università Lateranense, Luiss e Lumsa, l’Inps, e l’ambasciata turca a Roma.
(Lapresse/di Maria Elena Ribezzo)