Jorge Mario, foto di famiglia

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

Che oltre il Tevere si fosse insediato un Pontefice che tutto avrebbe sacrificato pur di realizzare la propria visione unilaterale del mondo, lo si era capito da un pezzo. Una visione pauperistica e solidaristica ad oltranza, tipica della teologia dei Gesuiti missionari, con un unico obiettivo davanti: risollevare le sorti dei deboli e dei più poveri. Intendiamoci: nulla di male in questo, se non fosse che il Papa ha altri e ben più vasti doveri ai quali adempiere.

Non toccano infatti alla persona del Vescovo di Roma compiti destinati a coloro che non rappresentano il vertice della Chiesa né incarnano, per dogma, la figura del vicario di Cristo sulla Terra. La figura ieratica del Pontefice, l’investitura che egli ha ottenuto, per intercessione dello Spirito Santo, non può che esimerlo dal recitare ruoli minimali e secondari. Pena: la perdita sia della sua immagine, sia del ruolo (e del compito) stesso al quale egli è destinato.

Colui che siede sul soglio di Pietro non può deprezzare né sminuire la sua figura né assimilarsi ad un Capo di Stato, ad un politico che guardi alla dimensione terrena, alla rappresentazione bonaria di un curato, a poco più di un buon pastore che predica contro i mali del mondo. Se così fosse il conclave si trasformerebbe in un normalo consesso democratico nel quale un determinato numero di persone, selezionate per età e per condizione gerarchica, elegge l’amministratore delegato dello Stato del Vaticano.

Tantomeno si sarebbe scomodato il Paraclito per ispirare i principi della Chiesa a scegliere chi rappresenta Gesù tra i viventi. La popolarità, la semplicità, la cordialità e la simpatia sono caratteristiche degli uomini buoni, delle brave persone che si prestano ad essere “cameratescamente” alla portata di tutti. Se oggi un fedele qualsiasi entrando in un bar incontrasse Bergoglio a bere confidenzialmente un caffè con la gente del quartiere, non si stupirebbe più di tanto.

I dogmi del credo cristiano ed i valori trascendenti che da questi promanano, i problemi dell’evangelazione, il pericolo della secolarizzazione della Chiesa e del suo portato di fede, la teologia e la cultura ormai bimillenarie, l’esatta interpretazione della dottrina sociale, la trasfigurazione atea ed amorale della dell’etica pubblica, pare siano stati riclassificati come “questioni secondarie” innanzi alla lotta per assistere gli ultimi.

Il mondo immaginato come una grande favelas, le porte della salvezza eterna aperte solo agli indigenti, la diffidenza verso la ricchezza (che rappresenta poi la base finanziaria sulla quale poggia la solidarietà) e la stessa proprietà privata, sono ormai diventate “la” dottrina di Francesco. Jorge Mario crede ancora di essere il vescovo di Buenos Aires. Forse pensa ancora di vivere in America Latina preferendo la teoria della liberazione ai principii tramandati e sviscerati nelle encicliche vergate dai suoi predecessori.

Tutto questo ne fa un esponente di parte: un politico simil – socialista che denega i vantaggi ed i risultati sociali del mercato e del capitalismo, lo assimila ad una teoria che produce sfruttamento e malaffare. Nell’ottica di questa scelta il Papa ha finora emarginato chi, tra i cardinali (e nella curia), dissentiva da lui, defenestrando e castigando quei porporati dissenzienti, convocando il concistoro con frequenza annuale per rimpolparlo con decine e decine di cardinali a lui vicini.

Ha creato con finezza gesuitica, in tal modo, le premesse affinché il suo successore possa avere determinate caratteristiche e quindi i consensi dei suoi emuli. Bergoglio ha predicato molto, ricevuto tutti, baciato i piedi, in ginocchio, di qualche satrapo africano per esortarlo – sottomettendogli la Chiesa – a cambiare politica!! Non ha trovato, quindi, il tempo per varare encicliche con le quali spiegare l’essenza del suo pontificato limitandosi, semmai, a cancellare quella che Benedetto XVI gli aveva lasciato in dote.

Insomma: così è e così si deve fare, con buona pace di chi poteva e voleva motivare, dentro la Chiesa, un ragionato dissenso. Le stigma di Francesco, insomma, sono essenzialmente di natura politica, in senso pauperistico -sociale. E come tale lo vediamo concedere interviste televisive, partecipare a programmi tv, svolgere un ruolo di primo piano sul proscenio politico internazionale. Eppure Jorge Mario avrebbe potuto ispirarsi a quei grandi Pontefici come Giovanni XXIII che salvò le sorti del mondo scrivendo la “Pace in Terris”.

Fu lui a rivoluzionare la Chiesa con il Concilio, senza “sporcarsi” le mani con la politica e senza…torcere un capello a nessuno!! Avrebbe potuto prendere esempio da Papa Wojtyla che pure sconfisse il comunismo senza cimentarsi neanche in un dibattito televisivo. A Borgo Egnazia, nel Brindisino, il Papa ha raggiunto l’acme delle sua azione sociale e politica partecipando al G7, come gradito ospite. In fondo una foto di gruppo con i politici che governano il mondo era d’uopo, per l’uomo che non volle mai farsi Papa.

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