Éric Zemmour è un saggista francese di origine ebraico-berbero algerina. Dal 1996 lavora per il quotidiano Le Figaro. E’ considerato un intransigente di destra, ma questo a noi poco importa. Zemmour, infatti, nei giorni scorsi, ha lanciato un augurio natalizio su Youtube nel quale ha fortemente rivendicato le radici culturali del Natale ed, in generale, i valori civili ed i diritti che scaturiscono dalla Cristianità. Non un fatto religioso, si badi bene, ma laico quello messo in evidenza, sui social, dall’intellettuale francese. In estrema sintesi: il saggista ha rivendicato come il Cristianesimo, che trova nella nascita di Gesù la sua massima espressione, sia stato consustanziale, intimamente connesso, all’evoluzione ed al mantenimento della libertà, dell’uguaglianza tra gli uomini di ogni razza, condizione sociale e credo innanzi ai diritti naturali. Principi incartati nelle leggi costituzionali dell’Occidente che hanno elevato la vita dei cittadini secondo valori di civiltà misconosciuti altrove. Zemmour ha altresì rivendicato che dalle libertà personali e dall’uguaglianza dei diritti e delle prerogative personali , siano scaturiti contesti umani che hanno favorito il formarsi dell’idea di bellezza e di grandezza artistica, filosofica e letteraria, l’insieme delle opere che ci sono state tramandate dai grandi geni del passato. Per capirci, il Natale celebrando il cristianesimo, celebra anche i suoi lasciti culturali, quelli di gente del calibro di Leonardo Da Vinci, Michelangelo, Mozart, Beethoven, Rembrandt, di filosofi come Tommaso d’Aquino, Agostino d’Ippona e tanti altri scienziati, poeti, scrittori che hanno insegnato la via della conoscenza e della meraviglia artistica dell’Occidente, “bagnandosi” appunto nel fiume dei valori della Cristianità. Senza la nascita del Bambinello e di tutto ciò che ha connotato l’Avvento, il mondo intero sarebbe oggi un luogo più barbaro e brutto. Parole alate quelle dell’intellettuale transalpino, che assumono un rilievo ancora più alto e pregevole perché vengono da una persona che professa un’altra fede e quindi non è influenzato nella riflessione dai dogmi della religione ma dai lumi dell’intelligenza colta, profonda e disinteressata. Cosa sarebbe stata la nostra società senza il secolo dei Lumi in Francia, e quante cose sono dipese dal principio di libertà ed autodeterminazione degli individui, non spetta certo a me dirlo. Dobbiamo però a questi valori che hanno permeato le menti e le coscienze, prima ancora delle anime, se oggi viviamo in contesti liberali che hanno spodestato la barbarie dei regimi liberticidi e totalitari. Un patrimonio di valori e di opere che va affievolendosi per l’irruenza di una modernità tutta avvitata attorno alla tecnologia, alla velocità telematica, all’interconnessione spersonalizzata dei social. In disparte la religiosità dell’evento, che avvince le menti ed i cuori dei cristiani, anche il mondo laico dovrebbe celebrare ed onorare la natività del Salvatore dalla quale ha preso origine il percorso civile dell’umanità. Se questa considerazione profonda, se questo apprezzamento ecumenico ci vengono da un laico e per giunta non credente, i Cristiani dovrebbero arrossire. Non c’è chi non veda, infatti, come tutto finisca in opulenta celebrazione materiale , in pranzi e cene luculliane, in esibizioni di simbologie estranee alla tradizione. Il bambino della mangiatoia è stato sostituito, a poco a poco, da un Babbo Natale sempre più commerciale, vestito con gli abiti “rosso fuoco” della Coca Cola ed ormai trapiantato ovunque in pianta stabile dalla lontana Lapponia! L’imperversare del Covid forse potrebbe rivalutare il passato e recuperare il senso intimo della festività, portando l’umanità ad una resipiscenza postuma, incentivata dalla paura e l’indeterminatezza del futuro, la fragilità della vita e dell’effimero materialista. Un recupero sul relativismo etico, la confusione terminologica che stravolge i valori e le abitudini, la presunzione di poter decidere quello che si vuole senza tener conto di quello a cui l’umanità intera andrà incontro. In una società che tende a cancellare come desueto orpello la tradizione, con i principi morali che le fanno da ancella, un richiamo alle ragioni storiche, artistiche, filosofiche e morali di quanto contiene la ricorrenza del 25 dicembre, giunge propizio ed opportuno. Se la semantica stessa è stata stravolta dal “politicamente corretto” e dal transumanesimo, saranno ancora comprensibili le parole della storia e della tradizione? Se imbandiamo le tavole di ogni ben di Dio senza arricchire quelle ore con l’afflato familiare, con l’interesse verso il prossimo, distratti dai social e dai telefonini, dalla smania di segnalarci e metterci in evidenza al mondo intero, quelle ricorrenze resteranno un convivio tra estranei. Riempire lo spirito oltre che il corpo è il vero comandamento che ci viene da una mangiatoia sempre più vuota.