Ormai la montagna del governo delle “larghe intese”, guidato da Mario Draghi, frana lentamente e malinconicamente. Come spesso è accaduto nei fatti politici di casa nostra, i salvatori del popolo hanno un gradimento limitato alle contingenze ed alle urgenze del momento di crisi. Si avvicinano le elezioni, prima amministrative e poi, a breve, quelle per il rinnovo del Parlamento, ed ai partiti “l’uomo della provvidenza”, il super tecnico stimato dal mondo della finanza internazionale, sembra non servire più. Lo scopo è quello di smarcarsi e di rendersi visibili all’opinione pubblica, ai propri seguaci e, più in generale, ai potenziali elettori che attendono ulteriori gratifiche ed agevolazioni governative. Nelle tragedie greche quando la trama si aggrovigliava e le azioni dei protagonisti si confondevano, interveniva il colpo di scena a porre fine alla confusione. Dall’alto di una macchina teatrale, una sorta di gru – il Mechanè (il “deus ex machina” dei romani) – calava un Dio a porre fine alle controversie e con esse alla caotica narrazione. Purtroppo questo non avviene nella vita quotidiana e tantomeno in politica ove caos e distinguo sono eternamente presenti, vere matasse aggrovigliate difficile da dipanare. Ecco allora che l’ex superbanchiere comincia ad essere contestato e mal sopportato, anche perché nel periodo del massimo consenso, ha tenuto in poco conto i pareri dei leader politici della sua maggioranza, men che meno i burocrati ed i faccendieri del sottobosco politico. Ora si vagheggia di una conduzione del consiglio dei ministri di tipo autoritario, di un agire che poco si è curato dei compromessi che venivano proposti al premier. Chiusa la partita del Quirinale con la riconferma di Sergio Mattarella sul Colle, toppa a colore per chiudere il buco originato della cronica incapacità di trovare una sintesi alta tra le opposte fazioni, quei simulacri di partito che calcano la scena, si smarcano per rivendicare sempre qualcosa che non è stato concesso ai blocchi sociali che votano per i medesimi. Che questo avvenga sul versante della politica interna, su argomenti come il catasto, le tasse sulla casa, gli interventi a pioggia per questa o quella categoria sociale ed imprenditoriale, la politica anti-Covid, la pseudo riforma della giustizia, lo si può anche comprendere, come epifenomeno della lotta politica e del posizionamento pre elettorale. Tuttavia non ci si limita solo a questo e si allarga la contestazione ed i distinguo anche alla politica internazionale ed europea, contravvenendo, in maniera spregiudicata, le asserzioni e le posizioni di qualche mese prima. Si è cominciata una corsa verso l’equidistanza tra Kiev e Mosca prima in nome degli approvvigionamenti del gas russo, poi sul tenore delle armi da inviare agli Ucraini, producendo sofismi sulla natura difensiva delle medesime ed infine sulla necessità di perseguire una pace, costi quel che costi, al popolo ucraino. Ascoltare Salvini che scopre l’acqua calda e con aria da statista afferma che la pace sia meglio della guerra e che questa sia alimentata dalle armi è di un’ovvietà stupefacente oltre che una giravolta a trecentosessanta gradi. Insomma il “truce” rincara la dose e raccomanda a Mario Draghi di cambiare linea su Kiev, anzi di assumersi il compito di convincere il presidente USA Joe Biden a riconsiderare l’invio delle armi agli ucraini. Insomma un’equidistanza che tale non è come non lo può essere fare parti eguali tra diseguali, tra la potenza militare degli aggressori russi e le scarne e male armate milizie da essi attaccate. Cosa dovrebbe convincere Putin a recedere dal proseguire la tragica intenzione di accaparrarsi intere regioni, non è dato sapere dal Metternich della Lega. Gli fa da sponda l’azzimato Giuseppe Conte, leader del M5S, anch’egli recuperato al pacifismo disarmato, ancorché in antitesi con Giggino Di Maio che si tiene cara la poltrona e gli amici che ha potuto collocare in giro per dotarsi di truppe cammellate ed ascari fedeli. Se la guerra finisse si potrebbe anche fare il successivo passo di licenziare Draghi e di ridefinire le alleanze di un tempo ante governo di unità nazionale. Fin quando si sparerà nel Donbass ed in Crimea, sia Conte che Salvini dovranno abbozzare e fare contestazioni per perifrasi: solo iniezioni di veleno in piccole dosi nel governo. Insomma la scoperta dell’equidistanza tra i contendenti in guerra non risponde ad un idea di politica estera ma ad una tattica di politica interna. Alle porte si para anche una nuova legge elettorale proporzionale per evitare che FdI possa conquistare palazzo Chigi, nonostante il notevole incremento dei consensi, in assenza di un premio di maggioranza maturato in coalizione col centrodestra. Insomma una legge elettorale per tagliare gli estremi, Cinque Stelle e FdI, con un coagulo tra centro e sinistra di governo a fare da maggioranza. Per necessità e per reciproca debolezza governare insieme, per il bene dell’Italia. Oh yes!!