La sua cosca, il racket e la sfida a Zagaria: le ultime parole di Ligato prima del suicidio

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Porre fine allla spirale criminale che aveva segnato la sua esistenza: sarebbe stato questo il motivo della collaborazione con la giustizia tentata da Pietro Ligato.

Il primo passo fu una lettera inviata ai magistrati dell’Antimafia, poi gli interrogatori: un percorso difficile, dall’esito incerto, cominciato lo scorso febbraio. Ma Ligato non ha nemmeno atteso di sapere come sarebbe andata: non si è dato neppure il tempo di affrontare un eventuale fallimento. Il pomeriggio del 3 aprile si è tolto la vita nel carcere di Secondigliano.

Non sapremo mai se, a differenza di Francesco Schiavone Sandokan, avrebbe portato fino in fondo la sua collaborazione. Quel che ha raccontato, però, non è andato perso. Le dichiarazioni rase rappresentano la traccia di un tentativo, forse tardivo, di uscire da quella “spirale di criminalità” – così aveva descritto la sua vita ai magistrati – che gli era diventata insostenibile. Un uomo fragile, con un passato brutale, che probabilmente voleva provare a cambiare.

Parte delle sue informazioni sono già state inserite agli atti del processo nato dall’inchiesta dei carabinieri di Caserta, che ha bloccato il ritorno sulla scena criminale del boss Antonio Mezzero. Ligato, in quell’indagine, era stato coinvolto con l’accusa di aver estorto denaro a diversi imprenditori dell’Agro caleno.
Ma le rivelazioni più importanti, probabilmente, devono ancora emergere: sono quelle ora coperte dai corposi omissis.

Il pentito Ligato si uccide in cella

Nelle parti ‘in chiaro’ dei verbali depositati, si apprende che Ligato ha raccontato di un suo gruppo criminale, che includeva diversi soggetti di origine straniera, messo in piedi nel 2020. Una gang che, secondo il suo racconto, non aveva rapporti con il clan Mezzero, ma con quello degli Zagaria.

Una relazione con il mondo mafioso di Casapesenna, intrecciata in occasione della compravendita di un capannone industriale situato a Sant’Andrea del Pizzone, frazione di Francolise. Chi lo stava acquistando, secondo la testimonianza del collaboratore, avrebbe ricevuto una richiesta estorsiva di 50mila euro da Giovanni Diana, cognato di Salvatore Nobis Scintilla, uomo di fiducia di Michele Zagaria.

L’acquirente, che conosceva Ligato, si rivolse a lui chiedendo un intervento. Il pignatarese avrebbe quindi contattato un intermediario di Diana, proponendo di abbassare la tangente a 10mila euro. Ma la proposta venne rifiutata: i sodali di Zagaria, stando al racconto di Ligato, risposero dicendo che “non guardavano in faccia a nessuno” e, per convincere l’imprenditore a pagare, iniziarono a mettere in atto danneggiamenti.

Un atteggiamento che avrebbe irritato profondamente Ligato, al punto da spingerlo – secondo quanto lui stesso ha riferito ai pm Maria Laura Morra e Vincenzo Ranieri – a danneggiare a sua volta le proprietà di soggetti che, a suo dire, pagavano il pizzo a Diana.
Inoltre, avrebbe effettuato dei sopralluoghi con l’obiettivo di organizzare un agguato per gambizzare proprio Giovanni Diana.

Ligato puntava su Sparanise riconoscendo Antonio Mezzero e gli Zagaria come…

Crolla il clan. Pietro Ligato collabora con la giustizia

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